Dalla Nigeria alla Sicilia | L'integrazione del malaffare - Live Sicilia

Dalla Nigeria alla Sicilia | L’integrazione del malaffare

Un frame del video della polizia

Riti di affiliazione, violenza e pentiti: i boss africani e la convivenza con Cosa Nostra.

PALERMO – Hanno importato la guerra fra bande dalla Nigeria in Italia. Sicilia, compresa. Li chiamano “confraternite”, altro non sono che associazioni mafiose. Una costola dell’organizzazione Elye è stata smantellata dal blitz dalla squadra mobile di Palermo.

Struttura gerarchica, omertà e violenza sono le sue caratteristiche principali. Un inquietante parallelismo con Cosa Nostra. E come in Cosa Nostra è accaduto che qualcuno si è pentito.

A saltare il fosso è stato per primo Augustine Johnbull che faceva parte di Black Axe, l’ascia nera, altra organizzazione radicata in città, i cui membri sono già stati arrestati e condannati : “… non posso uscire da casa non posso andare a fare nulla per nostra famiglia perché quegli altri di Elye sono assai più di noi quindi già inizio di guerra tra noi e Elye qua a Palermo”.

I membri di Elye, numericamente più numerosi, hanno iniziato a fare la voce grossa. Hanno preso campo nei rioni popolari, colonizzando intere strade. In particolare a Ballarò e alla Vucciria. La violenza è la loro arma per imporsi.

Il 9 settembre scorso giunge una telefonata al 113. Gli agenti delle volanti arrivano in massa in via delle Case Nuove. Trovano Chukwudi Ofladu riverso per terra e privo di conoscenza. Un suo amico, Uyi Sunday, parla con i poliziotti. Racconta che il pestaggio è stato un regolamento di conti all’interno di Elye, di cui loro stessi fanno parte. Da quel momento entrambi diventato collaboratori di giustizia. Svelano l’organigramma dell’organizzazione.

Ofladu ammette colpe più gravi. Riferisce, infatti, che in Nigeria ha ucciso quatto persone. I membri di Black Axe lo vogliono morto. Raccontano che l’organizzazione si finanzia con la tassa imposta ai nuovi adepti, gli incassi delle “Connection house”, le case del sesso e con lo spaccio di droga. È una straordinaria conferma alla denuncia presentata un anno prima da una ragazza nigeriana. Era partita dal suo paese per giungere, dopo avere attraversato il deserto, a Trapoli. Da qui a Reggio Calabria a bordo di un gommone. Poi Bari, Torino e infine a Palermo con il miraggio di un lavoro vero. Ed invece era stata costretta con la violenza a prostituirsi. È la triste sorte toccata a tante altre sue connazionali.

Elye in dialetto yoruba significa “uccello”. La struttura organizzativa degli Eiye comprende il ruolo di Ibaka, ovvero il capo. A Palermo si sono succeduti al potere Osabuohien Ehigiator, alias Destiny, Silver Obasuhy, alias Silver Paculty, e Augustine Domine, alias Desmond

Gli affiliati vengono anche definiti “bird” (uccello) e indossano camicia o t shirt gialla, baschi blu o rossi. Per entrare nell’organizzazione un nuovo “bird” è sottoposto a un rito d’iniziazione e uno di questi è stato registrato da una microspia piazzata a Ballarò. La cellula operava anche a Napoli, Torino, Cagliari, Catania, Caltanissetta, all’interno del Cara di Mineo e in provincia di Treviso. Nel rito d’iniziazione registrato dalla polizia, l’aspirante membro viene spogliato e spinto a terra, preso a calci e pugni, ferito con un rasoio e poi costretto a bere un intruglio composto dal suo sangue, dalle lacrime – sollecitate dallo strofinio di peperoncino contro gli occhi – e anche di alcol e tapioca. Al rito partecipano solo alcuni membri che seguono un rigido protocollo. L’iniziato viene sottoposto a gravi atti di violenza che servono in qualche modo a testare la serietà delle sue intenzioni e la sua fedeltà. L’organizzazione ha un rigido sistema di regole e chi trasgredisce subisce severe sanzioni.

L’associazione ha una cassa, riempita soprattutto con i soldi dello spaccio. Nigeriani e palermitani si sono divisi il lavoro, senza farsi la guerra. La suddivisione è rigida. Da via Porta di Castro fino a piazza Ballarò gli spacciatori, salvo qualche rara eccezione, hanno la pelle bianca e rispondono agli ordini della mafia nostrana. Oltre il mercato e nelle stradine che sbucano in via Maqueda e corso Tukory la gestione passa ai nigeriani. I palermitani hanno poca voglia di avere a che fare con i tossici che si fanno i di eroina. Piantano grane e sono difficili da gestire. Il lavoro sporco viene così lasciato ai nigeriani. Si sono divisi i clienti e di fatto il territorio. È l’integrazione del malaffare.


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