Discrede, la lettera della figlia | "Caro papà, sento il tuo profumo" - Live Sicilia

Discrede, la lettera della figlia | “Caro papà, sento il tuo profumo”

Daniele Discrede

Lei è l'altra ragazza, quella che non ha assistito all'omicidio del padre. Ha scritto le sue emozioni dopo tre anni.

“Caro Papà, ricordo che avevi un buon profumo”. Comincia così una missiva speciale scritta da una ragazza speciale. Daniele Discrede, commerciante, è stato assassinato nel corso di una rapina a Palermo, tre anni fa. Dopo tre anni, rimane sospesa la richiesta di verità e giustizia. Con lui, c’era la figlia bambina. Questa è una lettera scritta dall’altra figlia che non ha assistito alla violenza, ma ne conosce i segni.

La pubblichiamo perché offre un messaggio di speranza a una città troppo spesso indifferente, perché è la testimonianza del coraggio generoso che tiene insieme una famiglia perbene, tanto duramente colpita.

La pubblichiamo perché è un sussulto luminoso nella Palermo dell’omertà e della sopraffazione. La pubblichiamo – grati di tanta bellezza – perché risplenda, finalmente, l’amore, oltre la sofferenza. Quel profumo che non passa mai.

Caro papà,

Ricordo che avevi un buon profumo. Sì. Era un profumo di vita, di pienezza, di bellezza, di spensieratezza e consapevolezza allo stesso tempo. Sì. Ricordo che profumavi anche di tante di quelle caratteristiche che guarnivano e lasciavano che la tua persona, il tuo essere, permanesse in ogni persona che incontravi, anche per un minuto. Avevi odore di “ziccusaria”, guai a chi ti contraddiceva, avevi odore di simpatia, e che simpatia, ovunque andavi era d’esordio una frase come «o zio Nino, come stiamo?» oppure un «cucì, che fa, stasera ci andiamo a mangiare una pizza?» ed io ogni volta mi chiedevo se quello fosse veramente tuo zio e quell’altro veramente tuo cugino.

Sono certa, però, che l’ingrediente più bello del tuo profumo, fosse proprio la vita. Sapevi di vita. Di tanta vita. Forse la vita non è quantificabile, forse non si può nemmeno, ma la tua era una vita di quelle spericolate, di quelle che non dormi mai, diceva il tuo caro Vasco Rossi del quale seguivi appieno la filosofia. E per me era tanta, tanta vita. Questa vita era piena di cose, amavi giocare a calcio e sai quante me ne ha raccontate Vito (ci stava “appizzando” il setto nasale, per capirci).

Sì. Tante volte per trovare qualcosa di qualcuno nel nostro quotidiano, per percepirne ancora l’inalienabile presenza, alla quale purtroppo spesso dobbiamo rinunciare, ci aggrappiamo a qualche aneddoto come fosse la nostra salvezza e credo sia una delle cose più belle cercare sempre quel “qualcosa di qualcuno” nel quotidiano, affinché possa sempre rimanere radicato nell’anima.

Ti piacevano le macchine, e come se ti piacevano, il nonno mi raccontò che addirittura ne comprasti una di nascosto, amavi viaggiare ed uscire la sera con una comitiva sempre varia e dal quale eri adorato e molte volte imitato proprio per il tuo forte carisma e la tua capacità di coinvolgere e far sentire tutti a proprio agio. Anche quella sera, io la chiamo ancora “quella sera”, perché forse ancora non mi sono rassegnata ed allora non voglio darle un mese ed un giorno, ti accingevi ad uscire per andare a mangiare una pizza, con una coppia di nostri amici. E da lì cambiò la vita di tutti, come una linea che poi si spezza e cambia la sua direzione. E quella nostra rimarrà spezzata per sempre.

Sai, durante questi tre anni Vito (il fratello di Daniele, ndr) è stato il nostro punto di riferimento, ha preso le redini della nostra famiglia indebolita dalla batosta, ha cominciato a mobilitarsi, ha scavalcato mari e monti per cercare giustizia e l’abbiamo sostenuto tutti, ma lui con il suo “comitato”, con i suoi amici che amano scrivere e che hanno scritto tanto per te è stato un grande e anche i nonni, la mamma,che ha affrontato tutte le circostanze trasmettendomi una grandissima forza,appoggiandomi sempre, le tue sorelle ed i tuoi cognati.

E va a finire tutto sotto un velo di omertà e di egoismo, di dimenticanza e di cattiveria, soprattutto da chi vede e sente, ma che poi «ah chi? Io? Ma io ero uscito, niente ne so». E allora, forse, mi viene alla mente un altro valore che avevi, ma che non condividevi con tutti, causa la tua testardaggine e “cuinnutaggine”. L’empatia. Ah papà, ci fosse un po’ più di empatia, questa Palermo che tanto amavi, sarebbe molto meglio. Pensa se tutti ci mettessimo l’uno nei panni dell’altro. Utopia. Forse. Mi hai insegnato anche che non si molla mai.

Ricordo e ricorderò sempre. Ciao papà. Gio.

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