Giravano in macchina. Michele Armanno e il fidato Maurizio Lareddola (nella foto) facevano la ricognizione dei commercianti per stabilire chi era in regola con il pizzo e chi no. Il capomandamento di Pagliarelli, tornato libero dopo avere scontato una condanna per mafia, aveva fretta di rimettere le cose a posto. Dovevano pagare tutti, diceva al suo braccio destro. Le microspie dei carabinieri del reparto operativo e del nucleo investigativo li hanno intercettati mentre organizzavano “il lavoro”. Le parole di Armanno sono inequivocabili. Prima spiegava che dovevano pagare tutti. Nessuno escluso: “…Minchia quello vi voleva fare gli auguri minchia qua vedi tutti questi si dovrebbero fare tutti a tappeto, tutti a tappeto, tutti a tappeto tutti, tutti”. Poi, andava giù duro. Era pronto a tutto pur di incassare: “…Guarda chi c’è, c’è questo qua, questo prima era… inc… e all’epoca gli ho rotto le corna… Lui deve prendere i soldi del bar… del forno di là. Il crasto, il macellaio di qua, me l’ha portata. Cornuto, non mi ha detto dove è andato a prenderli, ora dobbiamo vedere se sono scritti in quelli… in queste cose. Qua ci è andato tre volte, da questo, ci è andato tre volte e non lo trovava mai. Dobbiamo vedere se ci è calato. Guarda che c’è qua… cose importanti. Questi ancora non li abbiamo fatti saltare in aria. E a ‘tiesta a mbrigghia’ io mi devo muovere ancora all’antica. Là di fronte lo so”.
Di ben altro tenore il contenuto di un’altra intercettazione. Se il protagonista fosse un signore avanti con gli anni il contenuto susciterebbe in noi persino tenerezza. Un po’ come il vecchietto che continuava a ripetere “ho capito, ho capito” alla signorina dei telefoni, quando esisteva ancora la Sip, senza rendersi conto che la voce era registrata. Le cose cambiano perché a parlare è Michele Armanno, lo stesso che terrorizza i commercianti imponendo loro il pizzo. Senza pietà. Il capomadamento di Pagliarelli, tornato in carcere nei giorni scorsi, dialoga con lo stereo della macchina. Uno di quelli che pronunci il titolo della canzone e via subito con le note senza bisogno di girare la manopola. La scena è comica. Tragicomica, anzi. Armanno è in macchina insieme a Lareddola. Sono a bordo di una Fiat 500 ultimo grido, imbottita di microspie. Il boss bolla come “indegni” quelli che non rispettano le scadenze. “Ripetere prego”, la voce elettronica non riconosce la parola. “Ripetere? Indegni”, replica Armanno scandendo le sillabe. La voce elettronica lo stronca “nessun file multimediale trovato”. La breve sequenza, una manciata di secondi, suscita ilarità. Eppure a parlare è colui il quale semina paura fra i negozianti. Una paura che, secondo noi, può essere non condivisibile ma comprensibile. L’orco, però, è fatto di carne e ossa. Come tutti quelli che, noi compresi, hanno paura. E può cadere, come tutti, nel ridicolo. Consentiteci il lusso, senza snobismo alcuno, di una citazione. “Ridere. Il vero segno della libertà”, diceva René Clair, registra francese che ha lavorato e vissuto durante la stagione delle guerre mondiali. Periodi difficili. Tragici. Molto più di adesso. Clair fu persino privato della cittadinanza francese durante l’occupazione tedesca. Ridere lo aiutò a sopravvivere.
(nella foto Maurizio Lareddola e Michele Armanno in un fotogramma tratto dalle videointercettazioni)