PALERMO – La soffiata di una fonte confidenziale fa salire l’allerta al Palazzo di giustizia di Palermo. Cosa nostra starebbe organizzando un attentato in città. Si stanno addirittura pianificando le fasi operative: 15 chili di tritolo e un telecomando sarebbero pronti per l’uso. A rivelarlo, un mese, fa un uomo, considerato attendibile, che gravita negli ambienti dei traffici di droga, contigui alla mafia. Perché mafiosa sarebbe la decisione dell’attentato.
Il confidente non avrebbe fatto nomi, ma le attenzioni si concentrano sul pubblico ministero Nino Di Matteo, al quale è stata rafforzata la scorta, con l’aggiunta di tre carabinieri del Gis, il Gruppo intervento speciale. Le tese di cuoio vigilano ora sulla sicurezza del magistrato che, con altri tre colleghi, rappresenta l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia ed è sotto procedimento disciplinare per aver confermato in un’intervista l’esistenza delle intercettazioni telefoniche tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.
Immediate le contromisure messe in atto dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. La scorta di Di Matteo è stata rafforzata: sono entrati in gioco anche i carabinieri del Gis. A proteggere il magistrato nei suoi spostamenti ci sono complessivamente, con diversi ruoli, quattro auto blindate. Segnali evidenti di quanto le rivelazioni del confidente siano prese in seria considerazione in ambienti giudiziari.
D’altra parte è solo l’ultimo di una scia di segnali inquietanti. E non solo attorno a Nino Di Matteo. Due settimane fa, qualcuno ha fatto irruzione nella casa, in pieno centro a Palermo, del pm Roberto Tartaglia, anche lui nel pool trattativa.
Prima ancora, una lettera anonima aveva fatto scattare l’allarme: nella missiva si parlava della preparazione di un attentato, stavolta con un riferimento esplicito a Di Matteo. Un attentato autorizzato dal superlatitante Matteo Messina Denaro e da alcuni suoi “amici romani”.