Diario di un siciliano in Ucraina: i 'fratelli' sul fronte opposto

Diario di un siciliano in Ucraina: i ‘fratelli’ sul fronte opposto

La convivenza con la guerra e con la Russia
IL REPORTAGE
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4 min di lettura

Antonio Giordano, cronista di Livesicilia, è stato in Ucraina nell’inverno del 2022-2023 e nella primavera del 2024. Ha visitato Kyiv, Dnipro, Odessa, Novhorod Severskij, Sumy e L’viv come membro delle spedizioni dell’associazione EUcraina, per portare aiuti umanitari alla popolazione colpita dai bombardamenti russi e creare legami con la società civile ucraina. QUI la prima puntata, QUI la seconda.

KYIV – A volte si vede tutto della guerra, meno la guerra stessa. L’Ucraina è un paese molto grande, una pianura sconfinata che si protende dal centro dell’Europa alle soglie dell’Asia, e i combattimenti lungo i suoi confini est e sud sono lontanissimi dalle zone occidentali. L’unico modo in cui si presenta la guerra, quella fatta di distruzione fisica e di armi che sparano, è lo sparo di missili di lunga gittata.

Arriva tutto il resto, però. L’Ucraina è un paese in guerra, coinvolto in ogni sua fibra nella guerra, i cui segni crescono con il passare del tempo.

Eco di guerra

Alla periferia di Kyiv sono sparite le case e i ponti distrutti durante i primi mesi dell’invasione, quando i russi hanno provato a portare la guerra nella capitale e in questo modo a prendersi tutto il paese. In altre zone, al nord, i segni dei combattimenti sono invece ancora presenti.

Charkiv, Chernihiv, Sumy, tutti i piccoli villaggi sparsi nella cresta nord dell’Ucraina sono ancora segnati dai combattimenti. Le periferie sono bucate, annerite, spezzate dai colpi dell’artiglieria. La differenza la fanno i periodi. A Chernihiv i mozziconi di palazzi sono vecchi due anni. A Charkiv ci sono stabilimenti che hanno smesso di bruciare appena un mese fa, dopo la campagna di bombardamenti dei russi della primavera 2024.

La guerra in ogni caso ha la sua eco, che si propaga nello spazio, lungo tutti i territori e le menti e i corpi dell’Ucraina, e nel tempo, con gli effetti di qualcosa avvenuto mesi o anni prima ancora presenti e visibili.

‘Fratelli russi, nemici russi’

Ci sono sempre loro, i russi. Vicini giganteschi, con armi e pensieri e storia ingombranti. Nemici odiosi, per chi li combatte. Una cosa che si impara stando in un paese in guerra è che certe distinzioni complesse e sofisticate possono funzionare solo lontano dalla guerra. Quando qualcuno ti spara addosso all’improvviso capisci che c’è una linea e che la tua scelta, limitatissima ma gigantesca, è di capire da che parte di quella linea ti trovi, e come guardare a quelli dell’altra parte.

I russi sono nemici per tutti gli ucraini, ma non tutti gli ucraini hanno lo stesso modo di guardare al nemico. Racconta Artem, vicesindaco di Novhorod Severskij, che nei mesi precedenti all’invasione sapeva benissimo cosa stava succedendo dall’altra parte del confine, con i russi che ammassavano truppe a trenta chilometri dalla sua città: “Non eravamo preoccupati, perché ci avevano detto che erano esercitazioni, e le esercitazioni vanno bene. Non avremmo mai immaginato che i nostri fratelli facessero una cosa simile”.

Dice così, “i nostri fratelli”, con un tono a metà tra il sarcastico e lo sconsolato. Ci sono invece sindaci di grandi città come Boris Filatov che parlano il russo, hanno genitori russi ma sono i più fieri avversari della presenza russa. A volte con modi anche troppo spicci.

Filatov è quello che, da presidente dell’oblast di Dnipropetrovsk, chiamò i separatisti filorussi nel 2014 dicendo che c’era una linea rossa: “Potete sventolare bandiere e gridare quello che volete, ma se cercate di prendere uno dei nostri edifici non ci sarà nessun ‘per favore andatevene’ come a Donetsk. Vi spareremo senza avvertimenti e vi uccideremo”.

Regalare la Russia a Putin

Altrove ci sono russi che scelgono di entrare in Ucraina, ma in modo del tutto diverso rispetto a quello che ha in mente Putin. Anna, studentessa di letteratura, è russa di genitori e passaporto e da anni vive a Charkiv, a ridosso del confine, seconda città ucraina e nel secolo scorso culla del nazionalismo russo. Nell’oblast di Charkiv, secondo i dati dell’ultimo censimento, più di un terzo di abitanti è madrelingua russo.

Eppure, anche a Charkiv l’equazione lingua russa – favorevole all’assimilazione con la Russia è del tutto fallace. Anna è l’esempio più lampante: ha scelto di vivere a Charkiv perché “è casa mia” e ha fondato una rivista che divulga le idee dei principali artisti dell’attivissima vita culturale della città. Anna è circondata da un intero movimento di persone che parlano il russo, sono russe, ma non cercano l’assimilazione con le armi. Hanno in mente qualcosa di più complesso e duraturo.

Togliere la Russia dall’Ucraina non è facilissimo, per il modo in cui si è diffusa la lingua nel paese e per la storia, che ha fatto della Russia un motore delle vicende ucraine. Adriano Sofri, che da tempo passa molto tempo a Odessa, dice che l’errore più grande che si possa fare è regalare la lingua russa a Putin. La cultura russa non è solo dei russi, tantomeno dei russi che arrivano armati per occupare il paese.

Dall’altra parte della linea poi ci sono loro, i russi armati. Anche loro non devono essere regalati a Putin. È uno sforzo che si sta facendo in tutto il mondo, con risultati non sempre soddisfacenti: la tentazione di metterli in un mucchio e dire che sono come chi li comanda è sempre fortissima. L’Ucraina in questo momento fa i conti proprio con questo, con la tentazione di regalare tutti i russi a Putin. (fine)

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