La pandemia ha aperto un vaso di Pandora colmo di una serie di inveterati mali sociali, sia di lungo corso, come il divario tra le due realtà sanitarie del Paese, che di breve periodo, come le esigenze legate alla digitalizzazione. Confinati nel presente, deprivati di ogni progettualità, siamo rinchiusi in un fortino nel quale il digitale ha un ruolo decisivo, per non dire essenziale, nella gestione della nuova quotidianità indotta dal Covid. E così, in modo dirompente, si è misurata la distanza tra chi possiede gli strumenti per comunicare, lavorare, studiare, affrontare la crisi, e chi no.
Il Rapporto Coop 2020 sulle abitudini nazionali, tenendo conto dell’impatto dei lockdown, ha sottolineato la crescita delle diseguaglianze economiche e dei disagi psichici e sociali. Ai tradizionali fattori di disparità, si aggiunge il divario digitale: basti ricordare le differenze di velocità della rete sul territorio nazionale, che penalizza chi abita nelle aree interne, o che molte famiglie non possiedono dispositivi adeguati. Un anno fa, in un paese Paese bloccato, l’ISTAT evidenziava che il 33,8% delle famiglie non aveva computer o tablet in casa, percentuale che scendeva al 14,3% nelle famiglie con almeno un minore; non tutti i bambini hanno avuto le medesime opportunità di collegarsi a internet per le lezioni a distanza.
Se l’Italia sta affrontando la situazione con numerose criticità pregresse (livelli di competenza dei giovani inferiori alla media Ue, discontinuità territoriali nell’accesso alla rete veloce, modesta disponibilità di pc e tablet nelle scuole, ritardi nella digitalizzazione non sufficientemente inclusiva per i minori e le famiglie), anche a livello internazionale l’impatto del COVID-19 ha determinato un sostanziale accrescimento della “disuguaglianza digitale” specie fra i giovani.
Negli Stati Uniti, che nel nostro immaginario sono la patria evoluta di internet, il divario tra chi ha e chi non ha accesso alla rete è stato ampliato drammaticamente dalla pandemia. Secondo la Federal Communications Commission, il 97% degli americani nelle aree urbane ha accesso a un servizio fisso ad alta velocità, ma, nelle zone rurali, quel numero scende al 65%. In totale, quasi 30 milioni di americani non possono beneficiare dei vantaggi dell’era digitale. Secondo lo studio Digital inequality, faculty communication, and remote learning experiences during the COVID-19 pandemic, appena pubblicato (febbraio 2021) su “Plos One”, poiché la pandemia ha forzato la chiusura della maggior parte dei campus universitari statunitensi, gli studenti con maggiori difficoltà finanziarie, quindi con problemi di connettività, di accesso ai devices e di comunicazione, hanno avuto un rendimento significativamente più basso ed è decresciuta la loro motivazione a continuare gli studi.
Mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera la malattia da coronavirus un’emergenza pubblica che minaccia la salute globale, senza che si sappia ancora per quanto, la ricerca scientifica riscontra che l’accesso a Internet non è distribuito in modo uniforme tra la popolazione mondiale proprio quando il bisogno del pubblico di informazioni e comunicazioni basate sul web è diventato fondamentale. Un articolo apparso sul “Journal of Medical Internet Research” dal titolo Digital Inequality During a Pandemic: Quantitative Study of Differences in COVID-19–Related Internet Uses, ha reso noti i dati ottenuti attraverso un sondaggio condotto su 1733 intervistati di età superiore ai 18 anni, classificati secondo il sesso, l’età, la personalità, la salute, l’alfabetizzazione, l’istruzione, le risorse economiche e sociali, l’atteggiamento verso Internet, l’accesso a Internet e le competenze informatiche. Le persone avvantaggiate culturalmente ed economicamente hanno maggiori probabilità di utilizzare le informazioni e opportunità di comunicazione, mentre gli individui svantaggiati ne hanno sempre di meno. Non è un’ovvietà: significa che la crisi determinata dal COVID-19 rafforza le distanze esistenti, piuttosto che accorciarle, tanto che la disuguaglianza digitale è diventata una delle principali preoccupazioni dei politici in tutto il mondo.
I giovani, proprio perché sono il segmento sociale più “incluso” nel mondo digitale, rappresentano la fascia di popolazione maggiormente coinvolta nella nuova disuguaglianza. Dalle problematiche relative al “divario digitale” (forme di esclusione che colpiscono gli anziani, le persone con scarsa dimestichezza con i sistemi digitali, o svantaggiate dal punto di vista economico o culturale) a quelle riguardanti il più estensivo concetto di “disuguaglianza digitale”, le negatività emergono principalmente rispetto a tre dimensioni: l’accesso alla rete, la capacità di utilizzarla, e l’uso effettivo, che declina, a parità dei primi due fattori, l’incisività di Internet nella vita individuale.
La digital inequality è molto più che la mera differenza tra “connessi” e “non connessi”; è legata all’età, al livello di istruzione, al genere, allo status sociale, alla ricchezza e all’etnia di appartenenza. Mentre in un primo periodo la diffusione di massa della rete e dei dispositivi elettronici sembrava appianare le differenze, la conseguita “inclusione” nel mondo digitale si è realizzata solo fino a un certo stadio, e mostra oggi discontinuità significative. Fra i giovani il problema è più visibile, non tanto riguardo alle condizioni di accesso, quanto al modo di sfruttare le opportunità disponibili online. Al di là del permanere di una minoranza cui resta negato l’utilizzo delle tecnologie digitali, la questione è di ordine culturale più che tecnologico: non si deve confondere l’uso continuativo di internet con un uso “significativo” dei media digitali.
Alla luce dei dati, il profilo digitale dell’utente socialmente svantaggiato ha le seguenti caratteristiche: permanenza online medio-alta, poca attività informativa sul web, bassa differenziazione delle attività svolte, alta pervasività dello smartphone nei momenti della giornata. L’implicita equazione tra maggiore uso del digitale e maggiore inclusione sociale, non risulta affatto valida sotto il profilo culturale, anzi potrebbe essere un fattore di aggravamento dell’esistente disparità tra classi.
Nella disamina dei danni provocati dal COVID-19 va inclusa dunque la estremizzazione del divario digitale fino alla discriminazione. Si tratta di un nodo cruciale, che investe la base della convivenza civile, il diritto all’informazione e all’istruzione; che sia di natura infrastrutturale o che derivi da carenze culturali in termini di alfabetizzazione informatica, che riguardi o meno solo alcuni strati di cittadini, la disuguaglianza digitale rappresenta nel nostro Paese una grave causa di arretratezza i cui esiti negativi appaiono, paradossalmente, più evidenti proprio nel momento in cui l’emergenza sanitaria ha provocato l’incremento del digitale quale mezzo per sostenere nuove forme di gestione della vita quotidiana e nuovi modelli relazionali in grado di contrastare l’isolamento sociale.
È indifferibile la riflessione sul fenomeno e sull’urgenza che lo Stato ponga in essere le opportune politiche per arginarlo, investendo nelle infrastrutture di rete per e in quant’altro sia necessario, perseguendo così, tra le sue finalità, la totale partecipazione al mondo digitale dei cittadini, che si configura ormai come bene pubblico da garantire. La digital inequality va contrastata come ogni situazione di disuguaglianza.
Lo stato di emergenza, il livello di alterazione in cui l’Italia si trova rispetto al resto dell’Europa, le condizioni fattuali legate all’andamento del Covid-19, hanno impedito il libero svolgimento di manifestazioni culturali pubbliche e partecipative, e solo l’attività informatica ha permesso di mantenere relazioni di ogni genere, sia pure incompiute rispetto agli incontri interpersonali. Gli incessanti flussi informativi che coinvolgono ogni dimensione sociale rendono ciascun cittadino attore nella società dell’informazione. In considerazione delle sue straordinarie potenzialità applicative, è necessario garantire un accesso libero e gratuito ad Internet attraverso l’adozione di apposite politiche pubbliche: non a caso, il Consiglio sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, con l’approvazione della risoluzione A/HCR/20/L.13, l’ha da tempo considerato alla stregua di un diritto fondamentale, “uno degli strumenti più importanti di questo secolo per aumentare la trasparenza, per accedere alle informazioni e per facilitare la partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione delle società democratiche”.
Internet attua tuttavia i meccanismi di esclusione propri del passato, anzi, li ripropone nel presente con una forza inusitata. Chi non vi può accedere è emarginato da tutto, confinato nel fondo della piramide sociale. Le disuguaglianze, sebbene siano il risultato di una svolta tecnologica senza precedenti e, adesso, di una calamità sanitaria inimmaginabile, non possono essere una scelta. Se la tecnologia digitale e la pandemia globale hanno scosso il sistema, l’azione pubblica deve guidare questi processi. La scienza può analizzarli, e offrire il suo contributo: ma tocca alla politica la rimozione degli ostacoli alla parità sostanziale, principio costituzionalmente garantito, e far sì che il sogno di una società dell’informazione uguale per tutti non si infranga sul muro dell’evidenza.