PALERMO – L’hashish arriva dalla Campania, la marijuana è un “prodotto” locale, mentre la cocaina per lo più dalla Calabria anche se in napoletani hanno un loro canale di vendita. La droga inonda le piazze palermitane dello spaccio: Ballarò, Falsomiele, Guadagna, Zisa, Sperone, dove si vendono anche crack e miscele a basi di metadone.
Domanda e offerta si incrociano alla perfezione. Il guaio è che la richiesta aumenta perché aumentano i consumatori. Una dose di marijuana da 1 grammo costa 5 euro. Stesso prezzo per il “fumo” che viene trasportato in città in auto o nelle cabine dei Tir. Cocaina ed eroina sono disponibili in dosi da un quarto di grammo: 15 euro. Se ne compri un grammo, però, ti fanno pure lo sconto: trenta euro. Prezzi modici e clienti in aumento.
I giovani la droga preferiscono fumarla o inalarla. Con dieci euro miscelano eroina e metadone e si garantiscono lo sballo per tutto il giorno. Il dramma è che l’età dei consumatori si è abbassata in maniera preoccupante, fino ai 12 anni. I danni sono incalcolabili e irreversibili.
Le piazze della droga sono quelle di sempre. La novità è che il controllo di Cosa Nostra si fa più stringente. I boss gestiscono in prima persona tutta la filiera, dagli acquisti all’ingrosso allo spaccio per le strade. Anche questo è il segno dei tempi. La mafia un tempo demandava il lavoro sporco ad altri. Ora ha avuto l’esigenza, innanzitutto economica, di attivare una propria rete di pusher. Costa meno e si guadagna di più.
Oppure come nel caso di Ballarò ha trovato un compromesso con i nigeriani che smerciano per lo più eroina. E i tossici di eroina sono soggetti con cui la mafia non si vuole sporcare le mani.
Sotto le machine parcheggiate, nei cartelli della segnaletica stradale, persino nelle edicole votive: ogni posto è buono per nascondere la roba come è emerso negli ultimi blitz.
La droga è tornata ad essere la principale fonte di guadagno per i clan. Il pizzo non può bastare da solo a coprire le spese per gli stipendi dei picciotti e le famiglie dei carcerati. I grandi appalti su cui imporre la messa a posto si contano sulle dita di una mano. Ecco che il ritorno in affari con la droga è stato inevitabile.
Per la cocaina i palermitani dipendono esclusivamente dai calabresi e, in misura minore, dai campani. Non hanno la forza economica per attivare un canale diretto con i grossisti. Gli ultimi tentativi risalgono al 2014.
L’11 marzo di quell’anno un carico di 320 chilogrammi di cocaina fu sequestrato a Santa Marta in Colombia. La droga era nascosta dentro alcuni tubi di metallo, pronti per essere caricati su una nave carboniera diretta nei Paesi Passi. Sarebbe stata destinata ad un gruppo di palermitani e trapanesi in qualche modo legati al clan di Santa Maria del Gesù. Traccia concreta della loro attività è stata trovata in un magazzino nella zona di via Falsomiele, a Palermo, dove c’era una piccola raffineria di droga e una piantagione di marijuana.
Nel luglio del 2014 Teresa Marino, moglie di Tommaso Lo Presti, reggente del mandamento mafioso di Porta Nuova, parlava dell’arrivo a Palermo di un misterioso narcos colombiano.
Per attivare un canale diretto servono tanti soldi che al momento i mafiosi non possiedono. Ma non si tratta di una manipolo di squattrinati. Le famiglie mafiose, anche di mandamenti diversi, fanno cartello. Uniscono le forze economiche, raccolgono periodicamente centinaia di migliaia di euro per comprare tutti insieme la droga e poi si dividono la roba i un città dove la domanda cresce.