Don Chisciotte a Pozzallo |sulle tracce del Bardo - Live Sicilia

Don Chisciotte a Pozzallo |sulle tracce del Bardo

Dal Fatto quotidiano. El Pais ha ipotizzato un incontro tra Shakespeare e Cervantes. Com'è andata davvero?

Don Chisciotte il mancego ieri sbarcava a Pozzallo. Scendeva dal catamarano arrivato da La Valletta, sbandierava la copia vecchia di una settimana di El Pais  e cercava Miguel che doveva essere da qualche parte, nel porto: “Vieni da Valladolid, Miguel?”.

Mostrava un articolo di Jesùs Ruiz Mantilla agli addetti della capitaneria, abituati a tutto ma non a un cavaliere errante, e continuava a inseguire Miguel: “C’è scritto che ti sei incontrato con William Shakespeare, venuto in Spagna con una delegazione del Re di Britannia per accordarsi in pace col nostro beatissimo Sovrano”.

Strillava don Chisciotte con la sua tipica voce da hidalgo (fateci caso, al netto dell’accento castigliano, ricorda Vittorio Gassman quando parla), urlava come se fosse una questione di vita o di morte quella che veniva a risolvere sulla banchina mentre Sancho Panza, dietro di lui, trascinava con una stessa corda il proprio ciuco e Ronzinante mentre faceva timbrare i passaporti essendo i personaggi dell’immaginazione – tutti e quattro, compresi gli equini – considerati extra-comunitari.

I due quadrupedi erano non poco disturbati della traversata da Malta fino alla Sicilia ma il povero Sancho, dotato di senno e bon senso, preoccupava più il rassicurare i presenti: faceva la faccia di sempre – “abbiate pazienza!” – per mulinare poi l’indice destro sulla propria tempia. Indicava il proprio signore e padrone come a dire – “è un poco svitato!” – e subito gli correva dietro mentre questi, intanto, avanzava dritto a passi lunghi sulle sue gambe di cicogna strillando Miguel, Miguel, Miiguueeel!

La scena andava a concludersi sul pontile Nautica Serra dove il pover’uomo stava a governare vele e cime della propria barca, pronto per la gita verso la Spiaggia dei preti.

Altri non era, Miguel, che l’ingegnere Michele Fronterrè, nel suo ultimo giorno di vacanza prima di tornarsene a Torino. C’era da preoccuparsi nel vedere arrivare quello – secco e spennato, con un bacile scrostato in testa a modo di elmo – armato non certo di lancia ma di giornale e però fuori di zucca.

“Signor de Cervantes” – diceva don Chisciotte evidentemente scambiando Fronterrè per il suo creatore – “mi avete offeso; non sono stato informato del vostro incontro col Bardo i cui sonetti ho declamato spesso, sotto al balcone della dolcissima Dulcinea; devo saperlo dal Pais?”.

Toccava ancora una volta al buon Sancho di risolvere il manicomio: fermo alle spalle del nobile cavaliere faceva tutta una fatica di mimica però tutta inutile. A Fronterrè, infatti, in punto di letteratura, risultò ben chiara la situazione: “Ho capito”, sussurrava al buon Sancho, “gli darò corda”.

L’ingegnere chiamava dunque Victoria Hannover al telefono, arrivata a Pozzallo per gustare la deliziosa granita di mandorle tostate, e fu così che don Chisciotte ebbe a ricevere non le scuse ma un chiarimento su questo mistero dell’incontro tra Cervantes e Shakespeare nella primavera del 1605 a Valladolid durante una missione di pace della delegazione reale inglese.

Scese allora donna Victoria al porto dalla stazione di servizio Fimar (nel cui bar, da Mauro, servono quella squisitezza), sfoderò il suo incantevole sorriso e finalmente chiarì al cavaliere errante l’ennesimo enigma su Shakespeare: “Sono sicura che in Spagna non ci sia mai andato”, gli diceva mentre quello le rivolgeva un inchino a cui dovettero adeguarsi tutti, compreso il guardiano del pontile.

“Se ci fosse andato, poi” – proseguiva la dama, con ancora uno sbaffo della granita sulle labbra – “sicuramente non sarebbe stato per una ‘missione di pace’ nell’ambito di una ‘delegazione del re’; Shakespeare a quel tempo era già al culmine del suo successo, persino un po’ stanco di tutto; il re Giacomo non gli stava simpaticissimo e lui, che aveva sempre potuto vantare una grande libertà di movimento, figurati se avesse voluto perdere tempo in una missione diplomatica…”.

Se ne stavano tutti ancora nell’inchino – tutti: don Chisciotte, l’ingegnere, Sancho Panza, il guardiano del pontile, la coppia equina – e donna Victoria, divertita dal fuori programma, si congedava: “Questo è ciò che penso io, poi il mistero di Will è grande come quello della fede; in fondo, però, è bello che la mente umana non si fermi mai” diceva ancora saltando a bordo della sua Smart.

Si rialzarono dall’inchino e tutti, allora – anche il guardiano del pontile – decidevano di fare almeno un giro in barca. Una volta al largo, nel cavo del boma, intersecato con l’albero maestro, vi zufolava il vento.

Complice un ancor più grande mistero, si diffondeva tra le onde una sinfonia ipnotica uguale a quella che ascoltava Ulisse dalle sirene. Don Chisciotte se ne stava dritto in barca a piedi nudi, l’ingegnere era al timone, Sancho Panza era messo di vedetta, Ronzinante voleva a tutti i costi il giubbetto salvagente, mentre il ciuchino si tuffava e ancora si rituffava al largo, all’altezza della Spiaggia dei preti.

E fu così che dalle spume di Pozzallo, presto sposatesi alle nuvole, ebbero a procurarsi il modo di unirsi alla bizzarra crociera il folletto Puck, Titania che è la regina delle fate, Oberon e anche Flauto, il riparatore dei mantici che in un momento di morta gora, soffiò ben forte e fece vela nel sogno di una giornata di fine estate.

 

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