Enza, Giovanna e l'assenza | Morire da soli a Palermo - Live Sicilia

Enza, Giovanna e l’assenza | Morire da soli a Palermo

foto d'archivio

Due donne morte in casa ad agosto, quando non c'era nessuno da salutare. Le loro storie, nell'ombra.

PALERMO – È come la dissolvenza dell’estate, quando certe memorie di vacanze e felicità diventano inestimabili, man mano che i minuti sgocciolano: così, forse, si invecchia. Ma c’è chi se ne va, senza riuscire a salutare nessuno. E non ci sono colpe, non c’è cattiveria, né distrazione e – a pensarci – non è nemmeno un destino per forza legato all’età. Esistono uomini e donne non connessi, non presenti, non visibili nei crocevia che gli altri percorrono. Semplicemente assenti. Che siano anziani è solo un altro particolare. Si può vivere e morire così, barricati in un appartamento con i gerani al sole, sul balcone, con la macchinetta del caffè al suo posto e un ordine implacabile ovunque. Si muore così, anche a Palermo, con la solitudine quale estrema forma di compagnia.

Enza ha chiuso gli occhi nella pienezza dell’agosto, mentre molti erano a mare. Abitava in via Oreto e aveva circa settant’anni. Sono stati i vicini a intervenire per primi. Non la vedevano da un po’. Un odore penetrante di corpo in decomposizione li ha messi in allarme. Chi è entrato ha trovato ciò che restava della signora, defunta verosimilmente da una decina di giorni. Quel tratto di via Oreto, il sabato mattina, è un dedalo di caos, afrori e sudore. Un mercatino invade la strada. Le bancarelle sono addossate alle abitazioni. C’è una folla: come è possibile perdersi, trasformarsi in assenti, in invisibili, con tanta gente?

La casa di Enza è in fondo a un residence un po’ discosto. Rampicanti alle finestre, parabole satellitari, voci in sottofondo: sono quasi tutti in giro, per le compere. Occhi che squadrano con attenzione. Nessuno si ferma. Sono questi i tempi del pericolo, dell’Isis e della fragilità: non sai mai che volto potrebbe avere il nemico. Prima citofonata: “La signora Enza? Sì, ho sentito che le è successo qualcosa, ma non è che la conoscevo bene, mi scusi”. Seconda citofonata: “Sono qui da poco. Clic”. Terza citofonata: “Sto sistemando la cucina, sono impegnato, non è che potrebbe ripassare?”.

Una coppia di mezza età rientra, con i pacchi della spesa. Il marito ascolta con partecipe curiosità. Si vede che l’accaduto lo ha addolorato: “Sì, certo che l’ho presente la signora Enza, è stato un lutto tremendo per tutti noi”. Qualche sommaria informazione per tratteggiare un’ombra nascosta, di cene frugali e programmi serali in tv: “Era una donna che stava per i fatti suoi. Era gentile, dolce, ma non si vedeva spesso. Credo che avesse lavorato a scuola. Vestiva di nero. No, non so dire di parenti che venissero a trovarla, però, magari, mi sbaglio. Ogni tanto, qualche ragazzo le accendeva la macchina per non lasciarla immobile. Ormai viviamo tutti un po’ separati, le persone non si incontrano più. Buongiorno”. E resta un buon profumo di umanità, quasi un aroma perduto di vero caffè, nelle parole dell’uomo che oltrepassa il cancello, con i suoi sacchetti. Lui saluta con gentilezza e sparisce, con la moglie, nell’intrico delle viuzze condominiali.

Il mercatino circostante frigge di calca e cellulari. Si chiacchiera soprattutto di soldi che non ci sono, tra scorte di abbigliamento cinese e cassette di frutta. Una ragazzina sorride di passione al display del telefonino. Un ignoto e sgrammaticato poeta ha marchiato su un muretto basso i versi della sua disperazione per un cuore spezzato: “Mi hai fatto gredere che mi amavi…”.

Giovanna se n’è andata qualche giorno dopo. Un parente premuroso ha telefonato più volte, lei non rispondeva. Sono piombati gli speleologi del vigili del fuoco, per calarsi dalla vetrata di uno dei piani alti. Hanno annotato stanze un po’ disordine e la signora reclinata, senza vita. Nessuno sa quanti anni avesse di preciso. Abitava in via Corrado Lancia, alla Zisa, una strada che, a un certo punto, è interrotta, di colpo, da un muro. “Lei dove deve andare?”, soccorre un’anziana affacciata a un balconcino. Poi fornisce le indicazioni per il necessario aggiramento: “Qui nessuno ci trova, neanche l’ambulanza, non è facile, siamo soli”.

Ecco lo stabile di Giovanna. Sul portone un annuncio che riguarda soldi, affari e compravendite; puoi risultare assente all’appello quanto vuoi, però la banca ti becca. Più in là, l’effigie dei nuovi eroi del pallone con relativi prodigi del parrucchiere.

Al piano, pochi dettagli. L’antifurto, un paio di animaletti portafortuna sul pianerottolo, uno zerbino col ‘benvenuto’ ormai stinto. Un cartello ammonisce e richiede di prestare attenzione nella chiusura delle ante dell’ascensore. Una coppia di ragazzi: “Sì, abbiamo saputo, però la signora non la conoscevamo”. Una voce garbata al citofono: “Non è che si incontrasse molto… Una donna robusta, con i capelli chiari, mi pare. Sì e no ci saremmo incrociati un paio di volte, non di più, ci è dispiaciuto”. Un signore in pantaloncini corti, con un cagnolino al guinzaglio: “Non ne so niente, non mi va di parlare”. Un altro viandante tra le scale del palazzo: “Era un enigma. Non si vedeva mai, non parlava mai. Proprio così, un mistero”.

Più che invisibili, assenti. Visti, ma non memorizzati; concreti, eppure impalpabili, trasparenti. Informazioni che non passano più nello schedario degli altri. Così, intere esistenze scompaiono all’improvviso dai radar, nell’epoca della grande paura – no, non c’è cattiveria – che trasforma le debolezze in distanze. E non ritornano.

Enza, ritrovata dopo dieci giorni. Perché indossava un vestito nero, lacrime silenziose all’ombra del televisore? Di cosa soffriva? Giovanna, quasi ignota a coloro che scendevano e salivano le sue stesse scale. Da chi dovevano proteggerla gli animaletti benigni e impotenti di guardia sul pianerottolo? Ma non ci saranno risposte per quelle vite trascorse e transitate in fretta nell’oblio, né un’estate da conservare e ricordare, come se non fossero mai state qui.

 


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