MESSINA- Un chiaro delitto di mafia. Dell’omicidio di Nicola Di Stefano, assassinato lunedì sera a Montalbano, con due colpi di fucile che lo hanno raggiunto al petto e in pieno volto, se ne occuperà la Dda di Messina. E’ la pista mafiosa, dunque, quella battuta a poche ore dall’esecuzione di un ragazzo di 24 anni. Un ragazzo che, a parte qualche precedente per rissa, lesioni, qualche denuncia, perchè lui, pastore, aveva invaso terreni con gli armenti, non aveva altro a suo carico. C’era soltanto quel “comparato” con il capo del clan dei “Mazzarroti” Tindaro Calabrese, in carcere dall’aprile 2008, quando venne arrestato nell’ambito dell’operazione “Vivaio”, poi coinvolto nelle operazioni antimafia, “Torrente” e “Gotha”.
Dal 2009 sottoposto al 41 bis. Calabrese risulta essere vicino al padre di Nicola Di Stefano. Se ne parla negli atti della operazione “Vivaio”, di quest’amicizia che sfociò nella cresima del figlio di Di Stefano, Nicola, la vittima di ieri. Un ragazzo che ne andava fiero – dicono in paese – di quel padrino d’eccezione. Calabrese era a capo dei cosiddetti “scissionisti”, coloro che si sganciarono, tra il 2005 e il 2006, dal boss Carmelo Bisognano, formando una nuova “Famiglia, collegata a Cosa nostra palermitana e al clan dei “Barcellonesi”. E’ in questo clima di “rotture”, frammentazioni, dunque, che può essere “letta” la spietata esecuzione del figlioccio del boss. C’è da capire, soprattutto, quali nuove trame si stiano predisponendo in quel difficile territorio che è l’hinterland di Barcellona. Capire, per esempio, cosa collega un incensurato come Giovanni Isgrò, il 24enne primo ad essere assassinato in questi 63 giorni di fuoco, ad un emergente come Giovanni Perdichizzi, seconda vittima dello scorso 31 dicembre, considerato vicino al clan guidato da Filippo Barresi, il boss catturato la scorsa settimana dopo una latitanza di 19 mesi.