PALERMO – Si è tolto la vita impiccandosi nella cella del carcere Pagliarelli di Palermo. Carlo Gregoli vi era rinchiuso dal marzo scorso con l’accusa del duplice omicidio di Villagrazia.
Per mesi è rimasto in silenzio nonostante le prove nei sui confronti diventassero via via schiaccianti. Fino al gesto estremo. In carcere c’era finito assieme alla moglie Adele Velardo. Cinquantadue anni, geometra impiegato del Comune di Palermo lui, casalinga lei di dieci anni più giovane. Una coppia di insospettabile che avrebbe crivellato di colpi Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela per le strade del quartiere periferico.
Nei giorni scorsi i legali di Gregoli, gli avvocati Aldo Caruso e Paolo Grillo, avevano avanzato un’istanza al giudice per le indagini preliminari per la concessione dei domiciliari. Si parlava di un riacutizzarsi dello stato depressivo che lo aveva colpito in passato. Un perito, però, aveva stabilito la compatibilità fra il suo stato di salute e il regime carcerario. Venerdì scorso l’ultimo colloquio con i figli che avevano allertato i legali, preoccupati ancora una volta delle condizioni di salute del padre. Gli avvocati avevano presentato una seconda istanza e ora fanno sapere che nell’attesa “il giudice aveva segnalato al carcere di vigilare”. E’ presto per sapere cosa sia accaduto nella cella del penitenziario palermitano. La notizia del suicidio è stata comunicata alla moglie.
Un duplice omicidio con un colpevole quello di Villagrazia, almeno così dicono gli esami scientifici, ma senza un movente. Perché sono stati uccisi Bontà e Vela? Che ruolo ha avuto la moglie di Carlo Gregoli nel duplice omicidio di Villagrazia? Per rispondere a questi interrogativi sono state eseguite ulteriori perizie. A cominciare da quelle balistiche che, ricostruendo la traiettoria dei colpi, diranno se a fare fuoco sia stata una sola pistola, quella impugnata da Gregoli, oppure se sia stata utilizzata anche un’altra arma.
Le accuse contro il geometra del Comune sono via via diventate granitiche. All’inizio c’erano le immagini di una telecamera che ha immortalato il passaggio della macchina su cui viaggiavano le vittime e subito dopo quella dei coniugi. Poi, è arrivata la testimonianza di un passante. Un uomo che transitava in via Falsomiele nell’istante in cui il killer o i killer crivellavano di colpi le vittime. Ha dichiarato di avere visto sparare un uomo vestito con gli abiti poi trovati a Gregoli. Quindi è stata la volta della perizia sulla calibro 9, modello Tanfoglio Stock 2, sequestrata in casa dei coniugi. Si tratta, dicono i periti, dell’arma che ha lasciato le striature, un timbro, sulle cartucce usate per il delitto.
Per il movente si è parlato di screzi di vicinato. Addirittura di un contrasto per poche decine di euro di consumi idrici, ma le indagini non si sono mai fermate.