Nella delicatezza che avvolge la fragilità delle memorie di tutti lo abbiamo chiamato, a ragione, maestro. Franco Battiato, compagno di strada di moltissime anime, merita il titolo per il suo essere al di sopra dell’eccellenza, Ma, ascoltando e leggendo le testimonianze che ne rincorrono il profilo, si capisce che lui non si considerava tale, non nel senso gerarchico del termine, almeno. E guardava a se stesso come il riflesso di un viaggiatore curioso che in ogni ombra sa cogliere la luce.
Pietrangelo Buttafuoco, per esempio, in una intervista su Huffington Post ne ha scolpito una vivida istantanea: “Era rimasto il ragazzo di paese, ma aveva questa qualità: era universale, conosceva il mondo, viaggiava. Poteva stare contemporaneamente in un bivacco nel deserto a prendere il the con i beduini, come poteva starsene accomodato a conversare in uno studio di registrazione ovunque nel mondo”.
Ricorda Marco Farina, direttore del centro buddista palermitano Muni Gyana, sorto a Pizzo Sella, che ospitò Battiato per l’inaugurazione e non soltanto in quella occasione: “Franco ha sempre affrontato una indagine spirituale continua, una ricerca con riferimenti molto importanti nel buddismo tibetano. Quando veniva in visita, ci chiedeva lui di incontrare maestri con cui intratteneva confronti privati. Non si sentiva un maestro. Era un uomo dolce, splendidamente ironico, mai sopra le righe. La sua fama pubblica, nel rapporto, non contava. Era una persona curiosa, allegra, dalla risata limpida”. Altrove si narra del suo talento di barzellettiere, come a Palermo dietro le quinte di un concerto, quando si esibì: “Uno va all’esame di spagnolo e dice: vorrei parlare di Garfia Lorca… Ma lei pronuncia benissimo lo spagnolo! Fi fi, lo fo!”.
“Conducevo il mio programma serale, Bazar radio, a Radio Gangi Antenna 1 – racconta su Facebook il commercialista Fabrizio Escheri -. Entrò il direttore della radio insieme ad un tipo strano, altissimo, con un colbacco in testa sebbene fossimo in agosto. Scoprii, dopo, che era Franco Battiato. Più di recente, ho avuto il piacere di accompagnarlo nella visita alla Missione di Speranza e Carità di Biagio Conte. Promise che avrebbe fatto un concerto dedicato agli ultimi che vivono in Missione. Non ce n’è stato il tempo. La sua musica resterà immortale”. “Era generoso – aggiunge Escheri – si informò della Missione, della sua attività ed era un vero amico dei sofferenti”.
Da ogni frammento di questo dolore che ha in sé una tenera consolazione, emerge, sotto la scorza della pubblicistica, il ritratto di un uomo quieto, amico e affettuoso. Una lode all’inviolato in duplice forma: nella trama di un genio musicale inscalfibile, nelle vicende della vita che non avevano cambiato i sentimenti di un ‘universale ragazzo di paese’.
Franco Battiato se ne va, salutato dal mondo e dai compaesani in processione per un omaggio o per deporre un mazzo di fiori accanto alla cancellata della sua dimora-rifugio. Ed è consolante pensare, in fondo, che un simile gigante fosse, nelle sue risate e nei suoi crucci, nella friabilità di tutto ciò che vive, un uomo come noi.