PALERMO – Nel Palazzo della casta succede che una commissione nata per recepire il decreto Monti si dimentichi, durante i propri lavori, del… decreto Monti. E così, la storia recente del parlamento siciliano ha raccontato di un tentativo, finora andato a buon fine, di difendere strenuamente l’entità degli stipendi e di alcuni privilegi dei deputati regionali. Un tentativo in certi momenti così ostinato da portare il presidente della Commissione parlamentare cosiddetta “sulla Spending review” a lasciare il proprio posto: “Qua c’è gente che traccheggia”, aveva commentato polemicamente Antonello Cracolici. Il traccheggiamento, però, alla fine è servito. E ha salvato qualche migliaio di euro al mese nella busta paga di ogni onorevole siciliano.
Ma nessuno pensi che quella battaglia, completata con la produzione di un disegno di legge che dovrà approdare in Aula, sia legata al portafogli. Niente di tutto ciò. I motivi della volontà di non recepire il decreto Monti da parte della commissione che avrebbe dovuto semplicemente recepire il decreto, sono molto più alti. E hanno a che vedere con la difesa dello Statuto siciliano. Con la difesa della nostra autonomia, insomma. E in effetti, il ddl prodotto dalla commissione Spending review, presieduta infine da Riccardo Savona, è davvero autonomo. E demanda agli organi stessi dell’Assemblea, ad esempio, decisioni come le sanzioni da applicare agli stessi deputati dell’Assemblea o agli assessori, in caso di assenza. Insomma, se la cantano e se la suonano da soli.
Ma cosa avrebbe comportato l’applicazione del decreto nazionale? Intanto, va detto che i tagli “dettati” nel testo sono legati alle erogazioni statali nei confronti delle Regioni. Insomma, chi taglia davvero, riceve i soldi. Altrimenti, nulla. I due aspetti fondamentali e più visibili dell’applicazione di quel decreto si sarebbero tradotti nella fissazione del limite alle retribuzioni del presidente della Regione, degli assessori e dei deputati regionali. In che modo? I valori sono stati fissati in sede di Conferenza Stato-Regioni. Alla fine, si è deciso, di stabilire i limiti di 13.300 euro lordi per il presidente della Regione e di 11.100 lordi per i consiglieri (che in Sicilia sono detti “deputati”, beata autonomia…). Quanto guadagnano, invece, adesso presidente, deputati e assessori? Al presidente della Regione va l’indennità complessiva di un deputato regionale (circa 18 mila euro lordi) ai quali vanno aggiunti gli oltre quattromila euro netti, che equivalgono alla indennità di funzione del presidente dell’Assemblea. Gli assessori, invece, sommano alla indennità da deputato, quella del vicepresidente dell’Ars (poco più di tremila euro). I deputati “semplici”, come detto, parificati ai senatori da una legge vecchia di quasi cinquant’anni, guadagnano, al lordo, circa 18 mila euro (al netto, circa 11 mila).
Il taglio di Monti, quindi, avrebbe comportato una riduzione degli emolumenti di circa 5mila euro lordi per il governatore, di quattromila per gli assessori e di circa settemila euro lordi per i parlamentari. Al mese, ovviamente. E invece, cosa ha deciso la Commissione “spending review”? Semplice. Intanto, ha fatto sparire Monti. Il riferimento al decreto per il quale è nata la commissione stessa, infatti, non appare nemmeno nel titolo della norma approvata. E ha mantenuto l’automatismo con la legge del 1965 che allinea Palazzo dei Normanni a Palazzo Madama. Riducendo, però, quella indennità del 20%. In “soldoni”, è il caso di dirlo, la riduzione porterà gli stipendi dei deputati a circa 14 mila euro lordi. Circa novemila euro netti. Tutto sommato, una cifra ancora “di tutto rispetto”.
Il presidente della Regione continuerà a guadagnare come il presidente dell’Ars (quindi “scenderà” a circa 14 mila euro netti). Agli assessori tecnici, quindi non parlamentari, toccherà invece una somma pari all’indennità del deputato decurtata del 20% più l’indennità di funzione concessa ai presidenti di Commissione parlamentare. Circa duemila euro. Come detto, il “Monti” prevede anche un taglio ai trasferimenti per le spese ai gruppi. Anche in questo caso, la Conferenza Stato-Regioni ha fissato il limite: cinquemila euro per ogni deputato. Ma per l’intero anno. Mentre oggi, ai parlamentari spetta invece un rimborso pari a circa 2.400 euro. Ma al mese. Così, i deputati hanno detto: ci pensiamo noi. Le spese di funzionamento dei gruppi, quindi, saranno decurtate del 20%. Mentre verranno considerati “a parte” i costi per il personale dei gruppi stessi. L’ammontare esatto di questi contributi verrà deciso dall’Ufficio di presidenza della stessa Assemblea. Fanno tutto loro. Quando si dice l’ “autonomia”, insomma.
Tra i pochi punti recepiti quasi fedelmente dal decreto Monti c’è l’abolizione dell’assegno di fine mandato (pari, fino a ieri, all’80% dell’indennità mensile, moltiplicata per gli anni di mandato parlamentare), la gratuità della presenza in commissioni e organi regionali e gli obblighi di pubblicazione sul sito ufficiale dei redditi dei parlamentari. Previsto invece un taglio del 20% delle spese per il personale di Palazzo dei Normanni e la riduzione della piano organica dell’Assemblea. Sul versante “vitalizi”, invece, l’Ars ha ignorato completamente quanto previsto dal Monti che ha indicato il limite d’età dei 66 anni per ricevere la pensione (calcolata, comunque, col sistema contributivo, quello utilizzato per i dipendenti pubblici) e quello di avere ricoperto la carica per almeno dieci anni. Oggi, in Sicilia, si fa diversamente. Gli anni minimi di lavoro all’Ars per ottenere il vitalizio, infatti, sono cinque. In quel caso, si può andare in pensione a 65 anni. Ma in caso di “carriera decennale” in parlamento, il limite d’età si abbassa a sessant’anni. E la norma, in questo caso, è rimasta intatta. Insomma, in Sicilia anche le baby pensioni dei parlamentari non si toccano. Ma il portafogli non c’entra, per carità. Questa è solo una strenua difesa dello Statuto. Della nostra autonomia. Adesso, il ddl dovrà essere approvato dall’Aula. Ma già qualche voce di dissenso s’è levata. Lo stesso presidente dell’Assemblea, Giovanni Ardizzone, ha auspicato che nel passaggio a Sala d’Ercole, il testo possa essere modificato per renderlo più aderente al decreto Monti. Gli altri 89 onorevoli, che ne pensano?