PALERMO – “Le indagini fin dall’origine hanno evidenziato i rapporti talvolta assai confidenziali tra gli armatori e diversi esponenti delle amministrazioni pubbliche sia a livello politico che dirigenziale”. Nelle parole degli inquirenti che hanno portato a termine l’inchiesta sulla presunta corruzione alla Regione, c’è solo l’ultimo fallimento del governo regionale. Quel governo che avrebbe dovuto alzare finalmente un muro tra gli interessi pubblici e quelli meno trasparenti delle lobby. E invece, dalle carte dell’inchiesta, emerge un sistema permeabilissimo. Fatto di rapporti fitti e non sempre trasparenti. Di “guardiani” che rappresentano in realtà il simbolo della continuità di vecchi rapporti. Altro che rivoluzione, quella di Crocetta, altro che rottura.
Lo ha ribadito, del resto, la stessa dirigente Dorotea Piazza, che ha denunciato le presunte anomalie sugli affidamenti alla Ustica Lines e che ha a lungo collaborato con gli inquirenti: “Sono stati anni difficili. Abbiamo avviato la revisione della regolamentazione dei bandi, ma in questo lavoro ho trovato solo dei muri di gomma. Anche dalla politica non ho avuto alcun sostegno: anzi in quest’ambito la situazione è stata ancora più dura”. Nessun sostegno dalla politica. Quella politica che avrebbe dovuto moralizzare, normalizzare. E che invece lascia i burocrati impegnati in battaglie di legalità sostanzialmente soli.
Un fallimento, dicevano. Al di là dell’indagine sul presunto concorso in corruzione a carico del presidente della Regione. Storia dai contorni non ancora chiari, e sulla quale sarebbe azzardato esprimere un giudizio definitivo. Ma quello che viene fissato nelle carte dell’inchiesta, è un ricorrere di rapporti, di incontri, di vicende che rimandano, in un certo senso, a un’altra vicenda. Quella che ha riguardato la Sanità siciliana. E anche lì, dalle ordinanze – in quel caso non si faceva cenno a possibili indagini a carico del governatore – ecco lo spaccato di una Regione fondata sulle amicizie, la Sicilia degli interessi pubblici piegati alle consuetudini delle pubbliche relazioni, dei caminetti, dei rapporti più o meno personali.
La manciugghia, o l’ombra di questa, insomma, non è stata estirpata. A prescindere, lo ripetiamo, dall’indagine su Crocetta. È lì, incrostata in una Regione che è, come era (e ciascuno usi le gradazioni che preferisce), luogo di scambi e favori, di interessi privati e potere da piegare, se serve. Manciugghia annidata tra quegli uffici un po’ politici e un po’ amministrativi, persino nei rapporti con la magistratura amministrativa che dovrebbe essere garanzia e che, carte alla mano, non rassicura per niente.
È il contesto. Di una Regione che oggi come allora, sbanda tra inchieste e scandali. Basti ricordare il “caso Cannova”, il dirigente che, secondo l’accusa, avrebbe intascato mazzette in cambio di agevolazioni nel rilascio di autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti. O il mondo della Formazione professionale, attraversato da inchieste negli ultimi tre anni: dai casi messinesi, all’ultimo che riguarda Paolo Genco, presidente del “gigante” Anfe. E per “rientrare” nella Regione, ecco la vicenda dei soldi pubblici che finivano nelle tasche del funzionario Emanuele Currao, che adesso dovrà restituire quelle somme. E una vicenda di mazzette è quella che coinvolgerebbe un dirigente dell’assessorato Energia, Salvatore Rando, al quale Salvatore Vincenzo Sucato, consulente di un’impresa che si occupa di fotovoltaico, avrebbe pagato una tangente: un pagamento registrato dagli inquirenti.
E non è un caso che alla fine del 2016, la Sicilia risultasse tra le Regioni più corrotte d’Italia, dietro solo a Campania e Lombardia. Non esattamente un successo, per il governo che avrebbe dovuto portare, anche nella pubblica amministrazione, il vento fresco della legalità. E invece il paradosso è proprio quello: spesso le indagini hanno finito per riguardare anche gli uomini più vicini al presidente. Nell’ultima indagine, quella sulla presunta corruzione per favorire gli armatori Morace, è stato il turno di Massimo Finocchiaro, che Crocetta ha voluto a capo dell’Ast: un amico personale, un militante del Megafono dalla prima ora, un attivo sostenitore di Crocetta fin dalla campagna elettorale del 2012.
Finocchiaro era arrivato all’Ast dopo l’arresto di Dario Lo Bosco, che proprio Crocetta aveva confermato inizialmente alla guida della società oltre che al vertice dell’ex provincia di Catania in qualità di commissario, prima di finire dentro una inchiesta su presunte mazzette legata a Rfi e che coinvolse anche Salvatore Marranca e Giuseppe Quattrocchi, dirigenti della Forestale, indagati per concussione e concorso in induzione indebita a dare o promettere utilità.
Di pochi giorni fa, invece, la richiesta dei pubblici ministeri di Palermo: “Condannate Patrizia Monterosso a quattro anni”. L’accusa, nei confronti del braccio destro di Crocetta, è quella di peculato ed è legata al mondo della Formazione professionale. Accuse che coinvolgono anche un’altra alta burocrate a lungo vicina a Crocetta come Anna Rosa Corsello. E nella già citata Sanità, l’addio di Lucia Borsellino fu la spia di quel fallimento. Di quella impermeabilità tradita, di quella svolta che si è tradotta in una finta. Una Sanità dove proprio gli uomini più vicini a Crocetta, dall’ex commissario di Villa Sofia-Cervello Giacomo Sampieri al medico personale del governatore Matteo Tutino finivano sotto inchiesta. Molti di questi, in realtà, a guardar bene, guardiani di un’epoca precedente. Come l’ex ad di Gesap, Dario Colombo indagato nella recente inchiesta sulla gestione dell’aeroporto, e in questi anni direttore generale di Sicilia e-servizi, così come era anni fa, quando c’erano i soci privati. E lo stesso si potrebbe dire di Ezio Bigotti, recentemente citato nell’inchiesta Consip, e in questi anni rimasto comunque con un piede dentro la Società patrimonio immobiliare. Tutti a rappresentare se stessi o qualcuno. Ma sempre lì.
E così, se non si vuole guardare all’indagine sul governatore, va certamente annotato che Crocetta non è stato fortunatissimo nemmeno nella scelta dei compagni di viaggio. La decisione di chiamare dentro la giunta Giovanni Pistorio (non sfiorato dalle ultime inchieste) ha finito per rigenerare, nei cruciali uffici di staff, un sistema che era antico e che affondava nel precedente governo. L’arresto di Giuseppe Montalto, impegnato secondo gli inquirenti, a stoppare nomine, suggerire assunzioni e a favorire i privati, è il segno di questa Regione che non ha svoltato mai. E che, al massimo, si è resa protagonista di una “inversione a U”. Tornando sui vecchi tracciati. Non a caso, proprio in quel momento, nel momento in cui emergevano con chiarezza le contraddizioni della narrazione di Crocetta, andarono via in serie Lucia Borsellino e Nino Caleca. E nemmeno sulla scelta di allearsi con i centristi di Alfano Crocetta è stato molto fortunato. E dire che inizialmente il governatore aveva resistito, respingendo quello che lui stesso bollò come il partito di “Mafia capitale”. Poi, ecco l’accordo politico con gli alfaniani. Ed ecco che dalle carte dell’inchiesta emergono le manovre degli alleati di Crocetta, finalizzate da un lato, a fermare la nomina di un consulente esterno, attraverso l’intervento dei leader siciliani di Ncd nei confronti del deputato che voleva proporre quella nomina, dall’altro, stando all’accusa, attraverso l’intervento addirittura di un Sottosegretario come Simona Vicari a favore dei privati.
E così, se proprio non si vuole indirizzare lo sguardo verso le accuse giudiziarie al governatore, resta comunque tutto il resto. La sua responsabilità politica che non può più essere nascosta dal consueto, urlato, pittoresco scaricabarile. La responsabilità di una Regione marcia. Oggi come ieri. E se davvero Crocetta era giunto a Palazzo d’Orleans per moralizzarla quella Regione, non può che prendere atto, in attesa di chiarire la sua posizione ai magistrati, dell’evidente, inoccultabile fallimento.