CATANIA – I contorni dell’Operazione Ombra scattata all’alba di oggi, e che ha visto in campo circa 200 agenti di polizia, sono stati sviscerati in conferenza stampa direttamente presso la sede della Questura etnea. Ad essere sgominato, il clan “Santapaola-Ercolano” nei suoi ruoli apicali.
Nello specifico, le indagini del Servizio Centrale Operativo e della Squadra Mobile, supportate da presidi tecnici (intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, oltre a videoregistrazioni) hanno interessato sia la frangia degli ERCOLANO che dei SANTAPAOLA che storicamente compongono la famiglia catanese di Cosa nostra confermando come le stesse siano espressione di un unicum criminale.
Gli esiti delle indagini avrebbero evidenziato la perdurante attività e pericolosità della famiglia catanese di Cosa nostra.
Gli arrestati
In carcere: Giuseppe Amato (“Peppe a ponchia”), Angelo Arena, Salvatore Assinnata, Letterio “Ettore” Barresi, Francesco Cacia, Antonino “Ninu u firraru” Castorina, Mario Ercolano, Salvatore Ercolano, Carmelo Fazio, Salvatore Antonio Pietro Iudicello, Alfio Minnella, Salvatore Mirabella , Christian Paternò, Stefano Platania, Alessandro Rugeri, Francesco Russo, Carmelo Daniele Strano, Benedetto Zucchero.
Ai domiciliari: Concetto Salvatore Di Raimondo, Salvatore Ettore Pandetta, Valerio Emanuele Pelleriti, Diego Filippo Russo.
La ricostruzione
Un primo segmento di investigazioni ha riguardato le attività criminali di due articolazioni cittadine di Cosa nostra ascrivibili alle posizioni degli Ercolano, ossia il Gruppo della Stazione e il Gruppo di Cibali. In tale contesto emergeva la perdurante operatività dell’ergastolano Mario Ercolano, il quale, nonostante la detenzione, avrebbe esercitato pieni poteri decisori, mantenendo contatti quotidiani con gli affiliati, a cui impartiva precise disposizioni sulle strategie da adottare.
Gruppi Stazione e Cibali
E infatti Mario Ercolano avrebbe deciso il riassetto dei ruoli apicali all’interno dei citati gruppi a lui riconducibili determinando la designazione di Carmelo Daniele Strano come successore di Benito Privitera nel ruolo di responsabile del Gruppo della Stazione, mentre Carmelo Fazio avrebbe preso il posto del fratello Salvatore come referente del Gruppo di Cibali.
Le investigazioni, inoltre, avrebbero fatto emergere il ruolo ricoperto da Salvatore Ercolano, fratello minore dell’ergastolano Mario, il quale, avvalendosi del fidato Salvatore Iudicello, avrebbe impartito le direttive ricevute dal fratello Mario e si sarebbe occupato personalmente della risoluzione di eventuali controversie sia interne che esterne alla famiglia Santapaola – Ercolano.
Le indagini
Le indagini proseguivano poi sulla componente Santapaola di cosa nostra catanese, documentando il riassetto dei ruoli apicali dell’organizzazione, consentendo di individuare i soggetti che sarebbero stati chiamati a ricoprire ruoli di vertice: a partire dal nuovo reggente di cosa nostra catanese, indicato, allo stato, in Francesco Russo e sui suoi diretti referenti, individuati, sempre allo stato delle indagini, in Salvatore Mirabella e Christian Paternò.
Russo, nonostante il ruolo di vertice che avrebbe ricoperto nel sodalizio, decideva di “operare nell’ombra”, seguendo un rigoroso modus operandi che ne assicurasse la riservatezza e la distanza dalle frange più strettamente operative e quindi esposte al rischio di indagini. In tale ottica designava Christian Paternò a “referente operativo” con il compito di coordinare l’operato dei vari gruppi cittadini e Salvatore Mirabella suo unico interlocutore diretto. Lo stesso Christian Paternò, inoltre, grazie allo stretto legame intessuto sia con Mario Ercolano nel periodo di comune detenzione presso la Casa Circondariale di Teramo che con l’ergastolano Sebastiano Cannizzaro inteso “Nuccio”, avrebbe preso il posto di Francesco Napoli nel ruolo di referente della famiglia Santapaola – Ercolano per il quartiere San Giovanni Galermo, ereditando la “carta delle estorsioni” del predetto gruppo mafioso.
In qualità di “referente operativo” di cosa nostra catanese, Christian Paternò avrebbe assicurato il sostentamento economico dei principali esponenti della famiglia Santapaola – Ercolano detenuti, tra cui lo stesso Mario Ercolano, gestiva la “cassa comune” dell’organizzazione, avrebbe curato i rapporti con i referenti delle varie articolazioni territoriali della famiglia (sia di quelle cittadine che dei sodalizi operanti nel resto della provincia), oltre ad intrattenere i rapporti con i referenti degli altri gruppi criminali del capoluogo.
Tali nuovi vertici della famiglia Santapaola – Ercolano manifestavano la certa propensione a ricorrere sistematicamente alla violenza come strumento per ribadire la loro autorità criminale nei territori di loro “competenza” mafiosa.
Gli episodi documentati
Il 26.8.2023, durante una serata danzante presso uno stabilimento balneare di Acicastello, i membri del Gruppo della Stazione, guidati da Carmelo Daniele Strano ed armati di pistola, avrebbero aggredito con inaudita violenza alcuni clienti del locale, colpendoli ripetutamente al capo col calcio della pistola e minacciandoli con la pistola puntata al volto.
Il 9.9.2023 i membri del Gruppo della Stazione Carmelo Daniele Strano e Angelo Antonino Castorina non si sarebbero fatti scrupolo di aggredire e minacciare di morte persino il giovane Salvatore Gabriele Santapaola, nonostante la sua lontana parentela con un ramo della famiglia del capomafia Benedetto Santapaola.
Nella circostanza, Carmelo Daniele Strano e Angelo Antonino Castorina avrebbero intimato al giovane Salvatore Gabriele Santapaola, poi arrestato dalla Squadra Mobile per possesso di due pistole clandestine, che nei suoi confronti non erano stati adottati provvedimenti più duri solo in virtù del suo cognome.
Il 31.10.2023, lo stesso reggente Francesco Strano, dismettendo la consueta riservatezza e facendosi affiancare dal figlio Diego Russo e da Valerio Emanuele Pelleriti, avrebbe agito nei confronti di un uomo che veniva gambizzato come ritorsione per avergli mancato di rispetto durante un diverbio in ambito lavorativo.
Azioni di violenza
Il ricorso alla violenza da parte degli esponenti di cosa nostra catanese come strumento di affermazione sul territorio portava a diversi episodi di fibrillazione con esponenti del contrapposto clan Cappello – Bonaccorsi, uno dei quali sfociava nella sparatoria avvenuta il pomeriggio del 21.10.2023, in via Poulet, nella parte del quartiere San Cristoforo comunemente chiamata “Passarello”.
Una delle storiche roccaforti del clan Cappello – Bonaccorsi, durante il quale l’esponente di quest’ultimo sodalizio mafioso Salvatore Pietro Gagliano avrebbe esploso alcuni colpi d’arma da sparo all’indirizzo dei membri del Gruppo della Stazione Carmelo Daniele Strano e Angelo Antonino Castorina, recatisi in quel quartiere unitamente ai sodali Sebastiano Ercolano, Alfio Minnella e Benedetto Zucchero per chiarire una lite verbale intercorsa la sera precedente tra quest’ultimo e lo stesso Salvatore Pietro Gagliano.
Nell frangente, l’indole violenta e la spregiudicata condotta di Christian Paternò, Carmelo Daniele Strano e degli altri affiliati al Gruppo della stazione si sarebbe manifestata nel progetto omicida che gli stessi perseguivano ai danni del giovane esponente del clan Cappello – Bonaccorsi Salvatore Pietro Gagliano.
Nonostante una serie di riunioni mafiose tra gli esponenti di vertice delle due organizzazioni mafiose mirassero ad appianare il contrasto e scongiurare ulteriori e pericolose degenerazioni armate. In tale fase di criticità emergeva lo stretto vincolo criminale tra Christian Paternò e Salvatore Assinnata, il quale, una volta scarcerato, avrebbe assunto il comando dell’omonimo clan mafioso Assinnata, articolazione della famiglia Santapaola – Ercolano nel territorio di Paternò (Ct).
Il sequestro e le ipotesi accusatorie
Durante l’attività sono state sequestrate diverse armi in dotazione al sodalizio mafioso, tra cui 5 pistole, un fucile a pompa ed un fucile a canne mozzate.
Tutte le ipotesi accusatorie, allo stato avallate dal G.I.P. in sede, dovranno trovare conferma allorché verrà instaurato il contraddittorio tra le parti. Il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari e per gli indagati vale il principio di non colpevolezza sino alla sentenza di condanna definitiva.