Le Province sono un bene necessario e vanno reintrodotte. Abbiamo già permesso alla pancia di prevalere sulla ragionevolezza, abbiamo sopportato abbastanza gli effetti del pauperismo a tutti i costi e, così facendo, abbiamo per troppo tempo abbandonato il territorio a se stesso.
Le comunità montane, le borgate marinare, i Comuni dell’entroterra … chiedete a loro. Ai sindaci, agli operatori culturali, alle piccole e medie aziende, alle Proloco, al mondo delle scuole, alle associazioni, ai pendolari, chiedete a loro se il giacobinismo abbattutosi sulle teste di presidente, consiglieri e assessori (espressione prossima di quelle comunità) abbia portato un qualche beneficio; oppure se abbia solo scavato un solco profondissimo tra quelle realtà e i Palazzi del potere centrale.
Adesso è tempo di tornare alle Province! E non c’è nessuna connotazione politica in questo, nessun proclama di parte, tutt’altro; l’errore è proprio quello di continuare a far delle Province una bandiera ideologica, sventolata da una parte e dall’altra.
Ho fatto l’assessore provinciale per anni, conosco l’importanza, amministrativa e politica, di questo ente intermedio, so quanto esso sia “capace di costituire un riferimento per l’intero sistema delle autonomie e in particolare per i Comuni, specie quelli di dimensioni minori” (sono parole della Corte dei Conti, contenute in una relazione di qualche anno fa). E sappiamo tutti (ce l’abbiamo sotto gli occhi) quale vuoto, nei processi decisionali e amministrativi, esso ha lasciato, penalizzando l’erogazione di servizi importanti.
La manutenzione delle strade provinciali, la gestione delle scuole secondarie superiori, la promozione e valorizzazione di siti culturali e ambientali, il supporto ai Comuni attraverso le stazioni appaltanti (siamo in piena epoca PNRR), l’impulso a manifestazioni e iniziative artistiche, culturali e sportive d’interesse sovracomunale, il supporto alle strutture ricettive, il sostegno delle attività artigiane …
Funzioni – queste e altre – oggi in capo alle attuali Città metropolitane/liberi consorzi che – causa la loro vocazione elettiva indiretta – si sono rivelate delle spurie controfigure prive di quella sensibilità politico/istituzionale che solo un’Amministrazione autenticamente elettiva può avere.
Il presidente, gli assessori, i consiglieri: possiamo scegliere di guardare ancora a queste figure con l’occhio torvo della demagogia, definirle poltrone da occupare e voltarci dall’altra parte; oppure possiamo scegliere di riscoprire e difendere il valore delle istituzioni (e dei loro interpreti) e affermare il principio delle Provincie regionali come autentiche leve di decentramento e autonomia, amministrativa e finanziaria.
L’autenticità é data proprio dall’elezione diretta, dal fatto, cioè, che sono i cittadini a eleggere i propri rappresentanti. Piaccia o no, è così: si chiama democrazia diretta ed è il bene più prezioso d’ogni Ordinamento compiuto. Ci si presenta con un programma politico, con una squadra di assessori e con delle liste di candidati al Consiglio provinciale e ci si rimette al giudizio insindacabile delle urne.
É da lì, dal ventre sacro di quelle teche, che devono rinascere le Province e si deve riannodare quel cordone ombelicale tra politica e territorio, che un infausto giorno di dieci anni fa la legge Delrio (e recepimenti vari) spezzò. E che il Parlamento siciliano non riannodò.
L’Ars ha tempo fa “segretamente” bocciato il ritorno a un passato che sa tanto di futuro, visto anche il chiaro intendimento del governo nazionale e le trasversali spinte che, in tal senso, provengono da parlamentari e amministratori di tutta Italia.
E comunque, forse non tutti rammentano che la riforma pensata dal governo Renzi doveva essere temporanea, doveva cioè traghettare le Province verso la completa rottamazione salvando soltanto le città metropolitane; solo che – circostanza che non definirei propriamente marginale – dopo il fallimento del referendum renzicida del 2016 le Province sono rimaste nell’articolo 114 della Costituzione quali enti costitutivi della Repubblica.
Insomma, la strada é quella lì e va percorsa. Del resto le vie legislative non sono infinite, no, ma non sono neppure state del tutto esplorate.
Infinito può, invece, essere il buon senso di chi – da destra a sinistra – voglia continuare a lavorare per la reintroduzione delle Province, contenendone i costi, certo, ma non nel solco di un’austerity forsennata, bensì nel segno precipuo d’una opportuna sostenibilità gestionale. I risparmi tranchant si pagano in confusione e disservizi; altra cosa, buona e giusta, è la razionalizzazione.
Qualsiasi Ente può essere un poltronificio mangia-soldi o laboratorio di buona amministrazione: dipende dalla Politica, se quella quella p la scriviamo in maiuscolo oppure piccola piccola … la matita all’elettore.