Come magistrato, scusate la franchezza, non ne ho mai ammirato la veemenza, negativamente sorpreso dalla sua scelta di dismettere la toga saltando di botto sul carro della politica con una candidatura “europea” nelle stesse aree in cui inquisiva potenti e gregari, qualche volta sbagliando. Invece, Luigi De Magistris come sindaco di Napoli, seppur certo che io non lo avrei votato, forse potrà risultare davvero la persona giusta nel momento giusto.
Perché in fondo in alcune grandi città devastate come Napoli, ovvero come Palermo, sembra impossibile trovare un sindaco “normale” alla stregua di Sergio Chiamparino o del suo successore Piero Fassino. Non tanto perché la società civile e quella politica non potrebbero offrire una personalità in grado di far dimenticare i guasti e le assenze di chi ha lasciato andare alla deriva un pezzo del Mezzogiorno. Non solo perché Palermo non è Torino. Ma soprattutto perché i palermitani, ammettiamolo a denti stretti, al di là del loro sindaco, nella loro globalità, non somigliano ai torinesi ligi alla norma, pronti ad adeguarsi alla regola, a partecipare per garantire pulizia e dignità all’intera comunità.
È con lo sconforto di questi confronti e con la costatazione del fallimento della macchina politica che spesso, davanti al gioco del toto-sindaco, mi ritraggo muto. Senza potere prendere parte per un candidato o l’altro. E non tanto per le qualità o i difetti dell’uno o dell’altro. Quanto per la coscienza che ogni personalità, dopo il primo brindisi per l’eventuale elezione del dopo-Cammarata, finirebbe a Palermo per dovere sbattere la testa contro una realtà difficilmente governabile seguendo le alchimie dei vecchi equilibri di sistema.
Perché ci vuole qualcosa in grado di rompere e di scrostare. Come a Palermo riuscì a fare tanti anni fa, per una brevissima stagione e solo in parte, un commissario straordinario. Come in fondo è riuscita a fare perfino a Bologna una signora di ferro, un prefetto ancora rimpianto da commissario alla guida della “città rossa”. Ed è storia recentissima.
Sarebbe auspicabile ovviamente un ritorno alla politica pura e a personalità capaci di rappresentare il popolo, ricevendone consenso da tradurre in autorevolezza, senza bisogno di ricorrere a magistrati e prefetti, come accade anche nel traballante governo regionale di Raffaele Lombardo. Ma accade con risultati migliori rispetto a quelli offerti da una classe politica troppo spesso esposta solo agli interessi di parte e al piccolo cabotaggio.
Perché, tanto per fare un paio di nomi, l’ex pm Massimo Russo alla Sanità, l’assessore-giudice Caterina Chinnici o il vice presidente della Regione, prefetto Giosuè Marino, comunque rendono difficile l’avvicinamento di clienti e mediatori, scoraggiano proposte oscene, svuotano i corridoi dai questuanti.
Sperando che questa presenza calmieratrice di funzionari prestati alla politica possa col tempo reinnestare coscienza civile e appassionata vitalità nel tessuto dei partiti, resta ai palermitani il problema di dover compiere di qui a non molto tempo una scelta simile a quella fatta a Napoli. E allora dico e propongo di bruciare le tappe e trovare un nostro De Magistris che, per quanto mi riguarda, avrei individuato in Antonio Ingroia. Sorpresi? Pure io.
Quante volte non ho condiviso le certezze giudiziarie di questo magistrato pur determinato, a volte con successo, nel perseguire disegni criminosi orchestrati da boss di primo piano ed esponenti di quel mondo affaristico-politico cresciuto grazie alle disattenzioni e alle complicità della cosiddetta “zona grigia”.
Dai tempi dell’inchiesta su Bruno Contrada ci è capitato di avere opinioni diverse, cosciente come sono che le mie valgono molto meno di chi ha conoscenza ampia e diretta degli atti. E, siccome la verità astratta è un’utopia lontana, dovendoci accontentare come società civile di quella giudiziaria, quando si arriva a un verdetto di terzo grado, davanti al bollo della Cassazione, non resta che prenderne atto. Ma questo non impedisce di avvertire come andatura fuori registro il continuo presenzialismo in comizi e dibattiti da parte di un magistrato. Mi capitava appunto con De Magistris, prima della sua prima candidatura. E una sensazione di fastidio avverto quando gli atteggiamenti di un pubblico ministero finiscono per consentire ad un fanfarone come Massimo Ciancimino di infinocchiare platee televisive, comizianti che chiacchierano di anti mafia declamata, perfino familiari di vittime di Cosa Nostra, come è accaduto a Salvatore Borsellino o ad una irritata Rosaria Schifani.
È meglio dirsi a voce alta quel che pensiamo, pur rischiando di sbagliare, ma senza obliqui pensieri, soprattutto trattandosi del vicino di rubrica, in questo caso non informato dei fatti e, forse, sorpreso dalla mia proposta. Magari dirà subito no. E dovremo prenderne atto. Ma l’ipotesi non mi pare impraticabile. Tanti sostengono che l’uomo sia pronto per il salto in politica. Ha provato la corsa al Csm, che è un’altra cosa. Adesso un’occasione specifica c’è. Un’occasione utile alla città, direi.
Fatta questa lunga premessa, rifletto soprattutto sulla necessità di trovare un “commissario” per Palermo, ma un commissario eletto dal popolo, come è accaduto a Napoli. E, sia chiaro, che a Napoli è accaduto con una differenza sostanziale del risultato ottenuto a Milano. Perché, condividendo quanto rilevato da alcuni esperti, la differenza tra le elezioni nelle due capitali del Nord e del Sud è che a Milano il voto per Giuliano Pisapia è stato strettamente politico, maturato con una scelta ponderata, anche da parte di tanta media borghesia per anni magnetizzata da Berlusconi, mentre a Napoli, pur con un alto tasso di astensione, è andata in scena una “protesta di massa”, con la gente all’improvviso conquistata da una certa idea e disposta a lasciarsi trascinare.
Una scelta “contro”. Come è emerso anche con i referendum. E non mancano a Palermo spinte anti-sistema come quelle dei giovani di “Forchette rotte” che potrebbero rivelare grandi sorprese, mentre le strade sono bloccate da precari mollati dai loro padrini. Una miscela esplosiva che fa somigliare molto Palermo a Napoli (altro che Torino!). Una realtà che qui rischia di restare ingovernabile, durante e dopo Cammarata. Per questo sarebbe meglio comprendere che chiunque conquisti la poltrona di primo cittadino rischierebbe di non potere garantire nulla davanti ai bubboni del lavoro fasullo, dei precari assistiti, della burocrazia malata, dei vigili urbani disattenti, del disastro cimiteri, del territorio bacato, fra abusi d’ogni genere nel commercio e nell’edilizia, fra sporcizia, arroganza e strafottenza.
Mi sovviene spesso un’immagine di Giovanni Falcone che paragonava Palermo a una stanza con porte e finestre chiuse dove tutti fumano come turchi giocando a carte, senza rendersi conto dell’aria viziata, irrespirabile, finché uno non apre uno spiraglio.
Per farlo ci vuole ormai qualcuno fuori dal sistema, fuori dai giochi, ma sul quale potrebbero convergere ampie forze. Anche all’interno di quel mondo che un po’ per interesse, un po’ per inerzia, ha le responsabilità più grandi e coincide in larga parte con l’elettorato che incoronò, più o meno cosciente, Cammarata.
Potrebbe essere dura per tanti di loro fare un passo così impegnativo, ma lasciare per qualche anno la città a un magistrato comunque determinato potrebbe contribuire a riprendere fiato, ad avviare una operazione di reset della vita civile, a scrollarsi di dosso le scorie del piccolo cabotaggio. Ovviamente prima chiedendo all’interessato. Ed evitando di pensarci all’ultimo momento. Anche per non ripetere l’errore in cui persiste De Magistris che ha imbarcato in giunta un pubblico ministero, Giuseppe Narducci, ignorando l’espresso divieto del codice etico del Csm e per questo sorprendendo lo stesso presidente Napolitano.
Meglio fare tutto con i tempi giusti. Ovviamente bisogna chiederglielo. E con una somma di voci. Senza dannarsi davanti a quello che potrebbe essere avvertita come un arretramento davanti all’idea della politica “pura”. Un sacrificio necessario per dare spazio alla città più vivace, capace di fermenti produttivi e culturali, per imboccare sul serio la via della legalità.
PS. Metto nel conto un diniego, ma la proposta resterebbe valida per un alto profilo pari a quello del magistrato che vorrei si prestasse al reset di Palermo.