PALERMO- Posteggio. E mentre mi avvio a piedi, sento che le gambe mi tremano. I maestri del giornalismo, quelli che ti insegnano che per diventare un bravo cronista devi foderare l’anima di pelo e cinismo, non sarebbero contenti. Un’occhiata di pura tentazione al bar che sforna ottime arancine al burro in viale Campania. Lo stomaco pieno scaccia le emozioni violente. Dopo. Prima c’è una missione da compiere, c’è una storia da acchiappare, c’è una persona da celebrare per la grandezza del suo cuore. Eleonora abitava qui, in viale Trinacria, nel palazzo oltre la siepe di gelsomino. L’intervistai, un giorno, perché tutta Palermo parlava di lei, di Eleonora Marsala, la ragazza con la chemio nella borsetta, e del suo blog dove spiegava le giornate difficili col tumore addosso, traendone un distillato di speranza. Ora, a pensarla morta, mi tremano le gambe. E continuano a tremare mentre saluto il portiere, mentre procedo lentamente verso il quarto piano.
Lassù c’è Antonella, mamma di Eleonora. Apre la porta: “Vuole un caffè?”. Il salotto ha l’aspetto di sempre, di quella volta che ‘Ele’ – come la chiamano coloro che non hanno smesso di amarla – mi narrò della sua malattia. Ero venuto per raccontare la forte levità di questa ragazza che sapeva sorridere del male e avevo riempito il mio taccuino di prudenza: domande non invasive, non fissarla con curiosità molesta, soppesa le parole, ricorda che stai parlando con una malata di cancro. Ele aveva dissipato i miei timori, con la grazia dell’alba che spunta per rendere bello ciò che ci appariva terribile al buio. Mi aveva dato coraggio. Lei, la ‘malata di cancro’, aveva dato coraggio al giornalista atterrato, pieno di domande, sul suo pianeta, con una domanda nascosta, invisibile, ma presente: come ci si sente quando sai che potresti morire davvero?
Ora, sulla stessa poltrona, c’è Antonella che ha, nelle pupille, la stessa luce di sua figlia, anche se di colore diverso. Sono occhi che rammentano un po’ il mare di Isola delle Femmine per il colore e la profondità. Gli occhi di Eleonora erano l’approdo, la risposta alle domande, l’isola di meraviglie e tesori nascosta al di là dell’oceano più sconfinato che c’è.
Antonella racconta: “Tutti quelli che sono stati qui, con le lacrime e il dolore per Eleonora, sono tornati a casa pacificati. L’hanno trovata come addormentata. Hanno visto che il suo sorriso non era svanito”. Un’ombra gentile sbuca dal corridoio. “Ecco il gatto di Eleonora, Artù. Quella notte, alle due, quando è successo quello che è successo, le è rimasto accanto fino alla fine”. Artù è un magnifico gattone dal pelo rossiccio, orgoglio della sua specie. Chi pratica i gatti sa che cadono spesso vittime di stupidi luoghi comuni, come accade per i giornalisti. Solo una malvagia diceria. I gatti non sono cinici, né scostanti, né opportunisti. Semplicemente, appartengono a un altro mondo, anche se abitano con noi.
Antonella racconta: “Mia figlia ha dato un esempio quotidiano di amore. Non a parole, con i suoi gesti. In ospedale, una suora, vedendola sofferente, le ha detto: ‘Se vuoi, puoi prendertela anche con Gesù, puoi tirargli le orecchie. Lui capirà’. Ele ha risposto con un filo di voce: ‘Non ho nessun motivo di prendermela con Gesù’. Ha dato una testimonianza da piccola, grande donna. A un certo punto ha capito come sarebbe andata a finire. E non si è abbandonata alla disperazione. Ha camminato sulla sua strada di coraggio. Perfino il dolore fisico non ha avuto la meglio su di lei. Ha sopportato il male con fierezza e dignità. Tutti la amano, tutti non la scorderanno mai. Nel reparto che l’ha avuta un cura, ho raccolto un mare di lacrime”.
Si sentono voci in cucina. Un bisbigliare carezzevole. Un rumore buono di tazzine e stoviglie. Un odore familiare di caffè. La luce illumina a metà il salotto.
Antonella racconta: “L’ultima notte, il respiro si è fatto più pesante poco prima delle due. Artù è salito sul letto. Eleonora si è come addormentata. In viso aveva un’alba perenne. Artù le ha sfiorato la gamba con una zampa, l’ha guardata e ha cominciato a fare le fusa. Io non penso che Ele sia morta. Penso che sia soltanto invisibile”.
In via Trinacria, è spuntato il sole, dopo l’acquazzone della mattina. Il ritorno è ancora un tremito di gambe. La vicina viale Campania è piena di macchine, di gente che passa veloce e discute e litiga, come se la vita fosse una cosa che si può sprecare. Nessuno impara in tempo che la strada è un miracolo a ogni passo in avanti; e che non conta quanta ne fai, ma come la fai. Quasi nessuno lo scopre, prima che sia troppo tardi. Ele lo sapeva. L’ha sempre saputo. Le gambe tremano. La siepe di gelsomino splende di bianco, mentre si asciuga dalla pioggia. C’è una luce di lacrime e sorrisi che gira, tra questo mondo e quel mondo. Eleonora abita ancora qui.