PALERMO – Il peccato originale delle firme false, il fuoco delle divisioni che da mesi cova sotto la cenere, comunarie tanto attese e alla fine svuotate di significato da ritiri più o meno strategici. A pochi mesi dalle Amministrative di Palermo il Movimento cinque stelle è stretto tra vecchi e nuovi problemi che rischiano di relegare i grillini al ruolo di comparse su un palcoscenico che conta già un ‘grande mattatore’, quel Leoluca Orlando che concorre per la sua quinta elezione a Palazzo delle Aquile. Il fantasma del ‘professore’ agita le notti del M5s più del pastrocchio firme false e delle faide che hanno portato al sostanziale disinteresse del gruppo dei parlamentari nazionali, guidati da Riccardo Nuti, verso una contesa che vede rimasti in gara il fondatore di Addiopizzo Ugo Forello e il poliziotto Igor Gelarda.
Palermo non è Roma, dove Virginia Raggi ha beneficiato della sostanziale assenza di governo della città. Nella capitale di Sicilia, dove gli scontri tra fazioni grilline rischiano comunque di presentare il conto alle urne, Orlando assorbe quello spazio vitale di malcontento che in altre città è stato la spinta propulsiva per i successi a cinque stelle. Nella Palermo del 2017 il grillismo non trova quei pascoli di rabbia e protesta che invece si aprono nel resto dell’Isola. Nel capoluogo politica e antipolitica hanno sempre trovato in Orlando una perfetta sintesi: quel ‘Luca’ candidato preferito da intellettuali e alta borghesia che orbitano attorno al salotto buono della città, così come ‘il professore’ dei quartieri popolari. Un consenso trasversale messo a dura prova da provvedimenti come una Ztl fortemente incisiva per i bilanci di tante famiglie della Kalsa o dell’Albergheria, ma che alla fine è entrata nella quotidianità dei palermitani facendo rinascere una porzione di territorio da anni abbandonata. Il ‘professore’ in questo caso è andato dritto, mostrando i muscoli anche davanti ai toni poco rassicuranti di chi voleva impedire le pedonalizzazioni delle piazze del centro storico con metodi che ricordavano la Palermo degli anni Ottanta.
Il malcontento popolare e l’antipolitica sono tigri che Orlando ha sempre saputo cavalcare senza mai rimanerne travolto, fin dai tempi delle cooperative e dei cartelli pro-mafia sotto ai balconi di Palazzo delle Aquile: correva l’anno 1986 e il professore era seduto sulla pentola ribollente di una Palermo insanguinata da criminalità e malaffare. Nel suo Dna anche l’insofferenza ai grandi partiti. Nel 2005, con l’esperienza de La Rete ormai alle spalle, le elezioni regionali lo portano a rompere con la Margherita di Rutelli: il ‘professore’ si schiera contro la candidatura di Ferdinando Latteri, imposta dal partito alle primarie per la Presidenza della Regione, sostenendo invece il progetto di Rita Borsellino. La scommessa finisce male: le strade di Orlando e di quello che sarà uno dei due pilastri del futuro Partito democratico si dividono. Da lì in poi fu il tempo dell’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, con l’elezione a Montecitorio e l’investitura a candidato sindaco sotto le insegne di un movimento che per qualche mese viaggerà a braccetto con Beppe Grillo strizzando l’occhio a quella rabbia che sarà il motore elettorale del M5s.
Il 2012 è l’anno del grande boom del Movimento cinque stelle, che porta 15 deputati all’Assemblea regionale, ma a Palermo il fattore Orlando annulla l’effetto Grillo nelle urne e la lista pentastellata non supera la soglia di sbarramento per entrare a Sala delle Lapidi. E’ lo stesso film visto nel 2011 e soprattutto nel 2016 a Napoli, con il novello ‘capataz’ Luigi De Magistris che in un colpo solo mette in riga Pd, Movimento cinque stelle e centrodestra. A distanza di cinque anni, nell’altra capitale del Regno delle Due Sicilie, la sfida si ripete ed è ancora Orlando, sindaco di politica e antipolitica, a rubare la scena agli adepti di Beppe Grillo: “Il mio partito è la città”, ama ripetere il ‘professore’ che nella corsa elettorale per la riconferma a Palazzo delle Aquile non vuole grossi simboli accanto al suo nome. Un ‘no’ ai partiti tradizionali che ha messo in secondo piano i grillini mandando in crisi il Pd, stretto tra la necessità di trovare un proprio candidato per la quinta città d’Italia e la tentazione di un comodo accordo con l’amico-nemico di sempre. In mezzo al guado il Movimento cinque stelle, che prova a far dimenticare i veleni degli ultimi mesi giocando una partita da outsider e non da protagonista.