Enzo Mineo, una grande storia d'amore per Palermo

Enzo Mineo, una grande storia d’amore per Palermo

La memoria di un uomo che ha dato tutto per la giustizia.

(Roberto Puglisi) Sono due anni ormai che Vincenzo Mineo (o come lo chiamavano tutti: Enzo), già direttore dell’aula bunker del maxi-processo alla mafia, non è più con noi. Non lo è, almeno, nel modo in cui siamo abituati a definire un’assenza: come lontananza dalla percezione fisica. Ma Enzo è ancora con noi, in quella zona intangibile della memoria che racconta la persistenza di una vita. Lo dimostra una circostanza che qualche volta accade: è come se Enzo fosse morto ieri, un minuto prima, qualche ora addietro. Una simile ed emotiva prossimità racconta la sua presenza.

Il ricordo nell’aula magna

Qualche giorno fa, tanti amici di Enzo, tanti suoi estimatori – cariche istituzionali, colleghi e altri – gli hanno reso omaggio a Palazzo di giustizia. C’erano i suoi familiari: la moglie Esther, le figlie Mariangela e Paola. Il giornalista Enzo Mignosi, testimone di assoluto rilievo della cronaca di anni terribili, ha scritto su Facebook: “Abbiamo ricordato Enzo Mineo, l’anima dell’aula bunker, dirigente di cancelleria di rara competenza, memoria storica del maxiprocesso, morto due anni fa per un infarto fulminante che lo ha stroncato nella notte”.

“Noi cronisti che abbiamo avuto il privilegio della sua amicizia – scrive Mignosi – ci siamo ritrovati con alcuni magistrati (tra gli altri il presidente del tribunale Piergiorgio Morosini e l’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta) nell’aula magna del palazzo di giustizia, a Palermo, per offrire una serie di testimonianze personali riferite soprattutto agli anni del processone, che ebbe in Mineo uno dei protagonisti silenziosi, capace di guidare dietro le quinte con assoluta discrezione la squadra dei suoi collaboratori, di rendere semplici le cose più complicate e di garantire, di conseguenza, un impeccabile svolgimento del processo, concluso, come si ricorderà, con una stangata alla mafia degli anni Ottanta. Presenti la moglie Esther Ajello e le figlie Mariangela e Paola. Tutti concordi nel definire Enzo Mineo uomo di grande spessore, colto, ironico, garbato, di intensa vivacità intellettuale, in grado di sostenere discussioni sui temi più svariati: politica, storia, letteratura, attualità. E aggiungo, per esperienza diretta, profondamente innamorato della sua dolcissima famiglia”.

Un protagonista discreto

Parole che raccontano l’essenza di una esperienza. Enzo Mineo è stato il protagonista e l’artefice di una grande storia d’amore. Per la sua città, per il suo paese, da servitore dello Stato – definizione appropriatissima in casi del genere – coraggioso nell’assumersi dei rischi, nel cuore di un processo storico, in nome di valori indiscutibili. Raccontò sua moglie: “Ricordo una sera, quando arrivò Buscetta. Mi raccomandò: ‘Chiuditi dentro, con i bambini. Verrò io a dirti quando siete liberi’. A casa piovevano telefonate di minacce e di insulti, le prendevo io. Ho cercato di nascondergliele, per non farlo preoccupare, ma era troppo intelligente per non capire. Infatti, lo capì”. Enzo conosceva benissimo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma, durante certe chiacchierate, non gli saltò mai in mente di chiamarli ‘Giovanni e Paolo’. Erano sempre ‘i dottori Falcone e Borsellino’. E’ un particolare che descrive il senso rispettoso della misura di un mito discreto.

Non da meno l’amore per la famiglia. Per Esther e per i figli. Una storia centrale e parallela, coltivata quotidianamente tra anime che condividevano lo stesso orizzonte. E non era facile – negli anni Ottanta-Novanta – essere servitori della collettività, mariti e padri, in quella città insanguinata. Vincenzo Mineo lo è stato. La forza del suo esempio ci conforta. Manca a tutti, nell’esperienza impetuosa del dolore. Manca – a chi scrive – l’appuntamento per un caffè che non fu mai condiviso. E non lo sarà mai più, nei luoghi dell’assenza. (rp)


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