PALERMO – Umberto Mustacchia andava in giro in bicicletta. Tra una passeggiata e l’altra, sostiene l’accusa, trovò tempo e modo per chiedere il pizzo ad un imprenditore che stava ristrutturando la facciata di un palazzo in via Gorizia. Il giudice per l’udienza preliminare Lorenzo Iannelli lo ha condannato a due anni. La richiesta era molto più pesante – sei anni – ma il Gup ha riconosciuto all’imputato, difeso dall’avvocato Roberto Cannata, le attenuanti come prevalenti sulle aggravanti. Bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza, ma è ipotizzabile che Mustacchia, pregiudicato per reati contro il patrimonio, sia stato considerato un estorsore solitario e non un picciotto inviato dai boss come lui stesso si qualificava. Insomma, anche se il reato sarebbe stato commesso con il metodo mafioso, Cosa nostra non c’entra.
Sull’importo totale dei lavori per 60 mila euro Mustacchia avrebbe preteso una messa a posto di mille e 500 euro. Solo che la vittima, parte civile al processo, non ebbe esitazione alcuna a rivolgersi ai carabinieri. Risultato: Mustacchia è stato prima arrestato e ora condannato. Le frasi che avrebbe rivolto al costruttore erano piuttosto chiare e tipiche del modo di agire degli uomini del racket mafioso. Presentandosi come emissario della cosca di Porta Nuova diceva che “qua dobbiamo mangiare perché abbiamo i carcerati e dobbiamo mantenere le famiglie… i cristiani devono campare là dentro”. Dopo la denuncia, alle successive visite in cantiere, c’erano i militari a fotografare la scena.