"Club incapace di autofinanziarsi" | L'atto d'accusa contro il Palermo - Live Sicilia

“Club incapace di autofinanziarsi” | L’atto d’accusa contro il Palermo

Ecco perché la Procura ha chiesto il fallimento della società di Zamparini. Il 7 dicembre l'udienza

PALERMO – Bilanci falsati, valore gonfiato del marchio, vendite fittizie e impossibilità di coprire in futuro debiti stimati in 62 milioni di euro. Ecco perché la Procura di Palermo ha chiesto il fallimento del Palermo Calcio.

A “parlare”, per la prima volta, sono gli atti giudiziari. In particolare l’istanza che i pubblici ministeri Andrea Fusco e Francesca Dessì hanno depositato al Tribunale fallimentare. La prima udienza è fissata per il 7 dicembre.

L’ossatura della richiesta è rappresentata dalla consulenza disposta dalla Procura della Repubblica che fa le pulci ai conti della società di Maurizio Zamparini. Una consulenza chiesta nell’ambito dell’inchiesta penale che ipotizza nei confronti del patron e di altri indagati i reati di di appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio.

Tutto ruota attorno alla cessione della Mepal, acronimo di Merchandising Palermo. Il 26 giugno 2014, a soli quattro giorni dalla chiusura del bilancio, l’Us Città di Palermo conferisce alla Mepal, amministrata dal figlio di Maurizio Zamparini, Diego Paolo, e partecipata al 100% dalla stessa società, il ramo di azienda per il merchandising. Il marchio viene valutato 23 milioni di euro dal commercialista Anastasio Morosi. Cifra che scende a 17 milioni considerato il debito con Unicredit per il contratto di lease back del marchio.

Contestualmente su un conto denominato “Riserva straordinaria” viene iscritta “la riserva da conferimento per complessivi 25 milioni di euro”. Sono i soldi che la società conta di iscrivere in bilancio una volta conclusa la cessione del marchio. Secondo i consulenti dei pm, il valore del marchio, al 30 giugno 2014, è di molto inferiore: poco sopra i 13 milioni di euro. Un valore per altro in linea con la perizia redatta da Unicredt che lo aveva stimato fra 9 e 16 milioni al momento in cui fu stipulato il contratto di leasing.

Il 30 giugno 2014 il Palermo chiude l’esercizio con una perdita di 27 milioni. Il successivo 5 novembre l’assemblea dei soci delibera di coprirla utilizzando la “riserva straordinaria”, frutto del valore sovrastimato di Mepal. E così il bilancio presenta un utile di quasi 300 mila euro. L’anno successivo, il 2015, l’iscrizione delle partecipazioni in Mepal rimane invariato (poco più di 18 milioni), quantificato però in 14 milioni dal consulente dell’accusa.

Altro passaggio decisivo è datato 30 giugno 2016 quando, attraverso la procuratrice speciale Alessandra Bonometti (è la segretaria di Zamparini), l’Us Città di Palermo vende tutte le partecipazioni di Mepal ad Alyssa, rappresentata dal procuratore Domenico Scarfò. Il prezzo della cessione è fissato in 40 milioni di euro. “In tal maniera – si legge nell’atto di accusa – il Palermo ha creato una plus valenza di quasi 22 milioni di euro (la differenza tra il ramo di azienda valutato in 17 milioni e il prezzo di realizzo della vendita di Mepal)”.

Il 20 maggio 2016 Zamparini annuncia in Cda di avere chiuso l’operazione “dopo una lunga trattativa” con Alyssa. In realtà si tratterebbe di un’operazione “solo simulata”. Innanzitutto perché Alyssa è di fatto amministrata dallo stesso Zamparini, come emergerebbe da una serie di riscontri. E siamo al cuore degli accertamenti eseguiti dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza, su delega del procuratore aggiunto Salvatore De Luca e del sostituto Dario Scaletta. Durante la perquisizione a casa di Zamparini, il 7 luglio, viene trovata una e mail inviata da Bonometti e dalla quale emergerebbe che il capitale sociale di Alyssa (31 mila euro) è posseduto dalla società lussemburghese Kalika di proprietà di Zamparini e della moglie Laura Giordani.

Nello studio di Morosi, invece, i finanzieri trovano il testo di una e mail in cui si fa riferimento alla volontà di fare riacquistare al Palermo le quote della Mepal, cederle a un terzo soggetto e infine farle rientrare nel patrimonio della società rosanero. Ed ancora: l’amministratore di Mepal era ed è rimasto sempre Diego Paolo Zamparini. Nel contratto di vendita ad Alyssa non sono previsti e tempi e modalità di pagamento dei 40 milioni. Gli unici riferimenti sono alcune pezze d’appoggio – i pm le definiscono “giustificazioni postume” – tra cui una lettera del novembre 2016 con cui Jean Marie Poos, amministratore di Alyssa e in realtà “prestanome di Zamparini” si impegna a pagare tre rate, la prima con scadenza 30 giugno 2017. Solo che, annotano i pm, Alyssa non ha pagato alcuna rata. Da qui, l’ipotesi che sia tutta un’operazione fittizia. Come fittizio sarebbe il prezzo. Anche perché, scrivono i pm, Alyssa non ha la solidità economica per onorare il debito.

Duro il report del consulente anche sui flussi per la stagione 2017/2018: la società “non sarà in grado di autofinanziare la gestione ancorché nel corso dell’ultima campagna acquisti abbia smobilizzato una parte della rosa calciatori producendo un flusso di cassa positivo”.

Le conclusioni sono pesantissime: il Palermo ha debiti per 62 milioni di cui 9 milioni nei confronti dell’erario e 280 mila verso istituti di previdenza e sicurezza, di cui 5 milioni non pagati; la previsione dei flussi di cassa al 30 giugno prossimo è negativo (meno 27 milioni); c’è anche un omesso versamento di Iva per un milione e 800 mila euro. A rendere problematica la situazione contabile ci sono anche un “piano di ammortamento del debito erariale, pari a soli 8 milioni di euro al 30 giugno 2017, concluso a fronte dell’incapacità di sostenere l’unitario pagamento”, il pignoramento di 200 mila da parte di Riscossione Sicilia per un debito che la società ha nei confronti della Federcalcio e la revoca del fido bancario da parte di Unicredit.

 


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