Fallita InvestiaCatania spa, il buco nero che risucchiava soldi - Live Sicilia

Fallita InvestiaCatania spa, il buco nero che risucchiava soldi

Il tribunale ha deciso le sorti della società partecipata

CATANIA – Alla fine, InvestiaCatania è fallita. Ci è voluto parecchio tempo, ed è stato necessario che le perdite riportate nell’ultimo bilancio ammontassero a 3.633.193,71 euro, a fronte di “attività potenziali” per poco meno di 900mila euro. Praticamente un naufragio, per una società partecipata del Comune di Catania. Il tribunale fallimentare del capoluogo etneo ne ha chiuso la storia il 29 luglio 2021, ma la notizia è emersa solo lunedì sera, in Consiglio comunale, poco prima del voto per il bilancio consolidato 2020.

La storia di InvestiaCatania Spa

InvestiaCatania Spa è una società a partecipazione interamente pubblica: il Comune di Catania ne possiede la quota di maggioranza, ma dentro ci sono anche Asec, Asec Trade, Catania Multiservizi e Sostare. L’azienda nasce nel 1996 con un obiettivo dichiarato: raccogliere fondi pubblici e distribuirli a chi volesse fare impresa sul territorio di Catania.

I fondi pubblici a cui attinge arrivano nel 2001 e sono quelli del Ministero del Lavoro: la convenzione prevedeva che arrivassero nel capoluogo etneo, affinché venissero girati a piccole e medie imprese sul territorio, circa sette milioni di euro. Quasi cinque milioni arrivano subito, i restanti sono previsti solo a chiusura del progetto di sviluppo per l’imprenditorialità catanese: a luglio 2007. A quella data, InvestiaCatania certifica di avere speso 6,5 milioni di euro e che dunque ha messo di tasca sua oltre 1,6 milioni di euro. Il Ministero dovrebbe restituirglieli a rendicontazione avvenuta. Di mezzo ci si mette però l’inerzia dell’Ispettorato del Lavoro, che deve fare le verifiche sulle spese rendicontate. Gli ispettori non controllano e, di fatto, i soldi mancanti all’ombra dell’Etna non si vedono mai.

Nel frattempo, però, InvestiaCatania continua a lavorare e recupera, a marzo 2011, poco più di otto milioni di euro per un nuovo centro direzionale dell’Amt nell’autoparco di Pantano d’Arci, che dovrebbe essere concluso ad aprile 2014. Prima di allora, nel 2012, InvestiaCatania viene messa in liquidazione e, da quel momento in poi, ha l’unico compito di chiudere le procedure in corso.

Dei soldi stanziati per Amt, ne vengono usati a spanne 4,6 milioni e ne restano inutilizzati 3,4 milioni. È su quest’ultima cifra che i due finanziamenti – quello per le pmi del ministero e questo di Pantano d’Arci – si incrociano: visto che i soldi da Roma non arrivano, le economie del progetto dell’Amt vengono usate per portare a compimento il sostegno alle imprese sul territorio e per pagare la banca con la quale erano state accese delle fideiussioni ad hoc. Cioè, insomma, i soldi vengono spostati da una parte all’altra.

L’inchiesta della Finanza e le perdite

La questione sarebbe già complicata di per sé, ma a renderla ancora più difficile ci si mette un’inchiesta della guardia di finanza. Francesco Marano, ex vicesegretario regionale del Partito democratico e braccio destro dell’allora sindaco Enzo Bianco, viene nominato liquidatore dell’azienda.

È a quel punto che, per rispondere ad alcune richieste del ministero del Lavoro datate novembre 2014, Marano scopre che esiste un’indagine della Guardia di finanza che riguarda sette delle otto imprese che avevano ricevuto, anni prima, i finanziamenti di InvestiaCatania. Quattro anni dopo, a giugno 2018, la partecipata chiede indietro i soldi alle ditte: alcune delle quali rispondono picche, sostenendo l’illegittimità dell’atto di revoca.

Con quei documenti in mano, InvestiaCatania bussa di nuovo alla porta del Ministero, a novembre 2019: chiede che le somme mancanti, sempre i famosi 1,6 milioni di euro, spiegando che in tutti quegli anni ha continuato a pagare le fideiussioni chieste alle banche per coprire l’importo: 80mila euro all’anno, mica poco. Che si sommano anno dopo anno, e a cui vanno aggiunte anche le spese di gestione della partecipata in liquidazione.

La risposta del ministero del Lavoro non si fa attendere: non solo non avrebbe pagato, ma vuole indietro anche i 4,9 milioni di euro che aveva già versato, visto che erano andati ad aziende da cui adesso InvestiaCatania voleva riprendere i soldi concessi.

Il buco nero

“Persino il mantenimento dello stato di liquidazione determina danni al patrimonio sociale della InvestiaCatania e, conseguentemente, alla massa dei creditori”. Cioè: anche tenere ferma questa società significa perdere soldi, lasciare che decine di migliaia di euro di debiti si accumulino mese dopo mese. È questo ciò che scrive il nuovo liquidatore di InvestiaCatania, Alfredo Accolla, nella relazione con la quale a luglio 2021 chiede al tribunale etneo che venga dichiarato il fallimento della partecipata.

Il nuovo commercialista sostituisce Marano, che si dimette nel 2020. Dopo avere studiato i bilanci, assieme all’avvocato Gaetano Cucuzza, Accolla mette in fila i fatti salienti della vita di InvestiaCatania e ne evidenzia le “criticità”. Intanto il fatto che il milione e 600mila euro avanzato dal Ministero, probabilmente, non arriverà mai. E, anche, che esiste la possibilità che effettivamente si debbano restituire i 4,9 milioni già presi.

Poi c’è un ulteriore elemento, sottolinea il nuovo liquidatore: il fatto che i soldi destinati ad Amt siano stati usati per altro, non significa che non sia necessario restituirli. E quindi anche lì ci sarebbero tre milioni e mezzo da trovare. “La società InvestiaCatania, sin dal 2013, accumula ogni anno perdite di esercizio. Attualmente le perdite portate a nuovo sono pari ad € 3.633.193,71“, scrivono Accolla e Cucuzza ai giudici fallimentari.

L’ultimo atto

Dal 2017, nessun bilancio di InvestiaCatania viene approvato, per via dei “rilievi” (cioè delle obiezioni tecniche) del vicesindaco e assessore al ramo Roberto Bonaccorsi. A giugno 2021, l’assemblea dei soci apprende che la Spa ha un “deficit patrimoniale di 2.813.287,47 euro” (cioè i 3,6 milioni di perdite citati prima, da cui vanno tolti poco meno di 900mila euro di liquidità ancora disponibili e crediti).

Ma si tratta pur sempre di una partecipata: se volessero, i soci potrebbero ripianare il deficit. Cosa che il Comune di Catania si dichiara “indisponibile” e “impossibilitato” a fare. Anche causa del dissesto economico-finanziario di Palazzo degli elefanti.

Al liquidatore non resta, quindi, che chiedere il fallimento della società, nove anni dopo la sua messa in liquidazione e 25 anni dopo la sua costituzione. Al giudice non resta che accogliere la richiesta. La sentenza che chiude la vicenda è datata 29 luglio 2021.


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