PALERMO – Giuseppe Farinella non ha fatto in tempo, è morto prima che il Tribunale di sorveglianza di Bologna valutasse di nuovo il suo caso. La Cassazione, però, non era stata tenera con i giudici bolognesi quando, nel marzo scorso, accolse il ricorso dell’avvocato Valerio Vianello.
I supremi giudici annullarono con rinvio l’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza aveva rigettato la richiesta di rinviare l’esecuzione della pena del boss stragista e di revocare il 41 bis – il regime del carcere duro – a cui era sottoposto dal 1994. Nelle pagine della motivazione venivano ricordati due principi cardine del nostro ordinamento: l’espiazione di una pena non può essere contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze che ne derivano e non deve apparire priva di significato qualora non si possano proiettare in un futuro gli effetti della sanzione applicata.
Farinella, 91 anni, era affetto da un’encefalopatia multinfartuale, deterioramento cognitivo, cardiopatia fibrillante e diabete mellito. La Sorveglianza di Bologna stabilì, però, che poteva essere curato in una struttura carceraria ospedaliera e che bisognava continuare a impedire i suoi contatti con l’esterno. Il capomafia di San Mauro Castelverde, alleato dei corleonesi, era ancora pericoloso.
Dalla Cassazione, però, arrivò una bacchettata. I giudici bolognesi non avevano considerato “la possibilità di eseguire una perizia che superi le incertezze sulla compatibilità delle condizioni di salute di Farinella e il regime carcerario”; non avevano approfondito “l’eventualità che il carcere possa mettere a rischio il principio di umanità della pena”. Ed ancora, si leggeva nella motivazione della Cassazione, l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza “inverte il metodo logico di valutazione sull’applicazione del 41 bis ricavando la pericolosità sociale da tale dato con una sorta di rinvio argomentativo invece di illustrare con esame autonomo le ragioni che lo hanno determinato”. Insomma, il 41 bis doveva essere la conseguenza della sua pericolosità ed invece ne diventava la giustificazione per la sua stessa applicazione.
Da qui la conclusione della Cassazione: “Il giudizio di pericolosità sociale è privo di basi fattuali e disancorato dall’attualità”.