CATANIA – “Matteo Messina Denaro è stato benvoluto da una borghesia mafiosa”. Claudio Fava, ex presidente della Commissione Antimafia, riprende le parole del Procuratore De Lucia e traccia il “contesto benevolo” che ha favorito la latitanza trentennale del boss di Castelvetrano. “Un cordone di sicurezza” reso possibile dall’utilità, in termini economici, che Messina Denaro forniva. Dai rapporti torbidi con il mondo dell’economia e della politica, molto più preoccupanti secondo Fava della reticenza di qualche comune cittadino, l’ex presidente della Commissione Antimafia dice la sua sugli interrogativi che pone l’arresto del boss. E su quanto abbiamo “sopportato e subito” nel corso degli anni.
Fava, l’arresto di Matteo Messina Denaro sta facendo parecchio discutere. Lo Stato ha vinto ma il boss è stato acciuffato dopo trent’anni di latitanza…
Sì, è chiaro che trent’anni di latitanza sono trent’anni perché oltre che essere stato abile e spregiudicato nel proteggerti, nel corso di questi anni, hai anche avuto attorno un cordone di sicurezza e un contesto di benevolenza e non penso soltanto a possibili protezioni istituzionali (che probabilmente in passato ci sono state), ma penso anche a un contesto complessivo perché Messina Denaro era un personaggio tutto sommato utile, serviva, garantiva carriere, faceva lavorare gli studi professionali, faceva girare la moneta, apriva agli appalti, garantiva partecipazioni societarie. E’ stato benvoluto, come l’ha definita il Procuratore di Palermo con una battuta, da una borghesia mafiosa.
Un profilo che ricorda la mafia catanese…
Certamente. La mafia catanese questa cosa l’ha intuita trent’anni prima, ha capito che occorreva entrare dentro i solchi dell’economia legale, della finanza, dell’amministrazione pubblica, essere un pezzo del panorama, confondersi e allo stesso tempo essere reciprocamente utile con gli interlocutori con cui si confrontava. Matteo Messina Denaro questo lo ha fatto con forme più spregiudicate e ambiziose. Ha investito nell’energia innovabile, nella grande distribuzione, nella sanità, nei supermercati, nel turismo ha creato anche un’economia parallela, ma solita, che lo ha tutelato e accompagnato ed è la ragione per cui probabilmente alla fine questo signore non ha avuto bisogno di nascondersi altrove, ma è rimasto nel suo territorio.
A tal proposto. Non è impressionante il fatto che Matteo Messina Denaro fosse nascosto non solo in Sicilia ma in un micro fazzoletto di terra, un paese di diecimila anime?
Non è impressionante che un barista o un farmacista possa avere avuto un sospetto e non ha parlato, trovo molto più impressionante che il giovane rampollo di una famiglia sodale con i Messina Denaro, cioè la famiglia D’Alì, sia stato sottosegretario all’Interno. Oggi condannato per concorso in associazione a sei anni di reclusione e li sta scontando ma fino a una decina di anni fa rappresentava l’istituzione parlamentare e di governo al più alto livello e tutto questo determinavano conseguenze. Quando il Prefetto Sodano è stato cacciato via da Palermo, quando il capo della Squadra mobile Linares è stato trasferito ad altro incarico e tutto questo in meno di 48 ore perché ficcavano il naso negli affari dei D’Alì o andavano a guardare troppo da vicino le storie della famiglia Messina Denaro ci racconta un clima che sì fa impressione perché non risale al secolo scorso ma a una manciata di anni fa. Mi stupisce meno che in un piccolo centro ci possa essere preoccupazione, ansia e alla fine anche reticenza. Mi stupisce di più che noi abbiamo subito e sopportato per molto tempo una cultura politica che era sodale con gli affari di Messina Denaro, non tanto con la persona, sia stata la cultura dominate, la cultura di governo. Non dimentichiamoci che Arata è entrato nelle stanze del governo regionale accompagnato da Nicastri senza che nessuno si sia reso conto che il signore che gli faceva da consigliere era stato il vivandiere di Messina Denaro e il suo protettore durante la latitanza e condannato per questo con sentenza passata in giudicato. Per cui i gradi di prossimità sono stati molto stretti in questi anni.
La politica regionale di oggi si sta interrogando a sufficienza?
Questo bisogna chiederlo alla politica regionale di oggi dalla quale io sono serenamente fuori.
Ma un discorso complessivo che interroga la politica dovrebbe esserci visti i fatti in questione non può essere eluso.
Non tanto la latitanza di Matteo Messina Denaro, che è un problema di forze dell’ordine, ma la prossimità di questo modello economico all’economia legale non sia stato il primo pensiero della politica in questi anni. Poi alla fine scopri che quelli che trafficavano, brigavano, organizzavano le logge erano portatoti di una grande mediocrità. Questo Lo Sciuto che sui taccuini dell’Ars faceva l’elenco dei massoni, stava dietro la loggia. Non stiamo parlando di una strategia politica-criminale. Stiamo parlando di cascami della politica.
A tale proposito, c’è la sua legge approvata dal Parlamento siciliano che chiede ai deputati di dichiarare la propria appartenenza a logge massoniche e associazioni segrete. Che fine ha fatto?
Credo e crediamo (visto che è stata approvata all’unanimità) sia un dovere di trasparenza nei confronti dei propri elettori se esiste un’entità che sia una loggia massonica, un’associazione, club service o altro al quale tu presti un voto di obbedienza e di segretezza che si affianca al giuramento di lealtà che ogni pubblico funzionario, e quindi anche un rappresentante delle istituzioni, deve nei confronti della Repubblica. È giusto che gli elettori lo sappiano. Questa legge è stata approvata nella scorsa legislatura che spetta alla presidenza dell’Assemblea fare rispettare chiedendo che entro sei mesi dall’elezione, che non sono ancora passati, gli eletti dichiarino se appartengono o meno a una loggia massonica o altra associazione che abbia carattere di segretezza dichiarino se appartengano o meno a una obbedienza massonica o altra associazione che abbia carattere di segretezza.