PALERMO – Per condannare un politico per corruzione elettorale la sua promessa di dare qualcosa in cambio del voto deve essere “seria e concreta”. Lo scrivono i giudici in una sentenza emessa dal Tribunale di Palermo che offre un’interessante interpretazione.
Il processo è quello sul “metodo Bevilacqua”, così lo definì la Procura di Palermo, che si impose alle elezioni regionali del 2012. La sentenza è del collegio composto da Donatella Puleo, Salvatore Flaccovio e Maria Minasola.
Giuseppe Bevilacqua ha avuto la pena più alta, 10 anni e 10 mesi. Era lui il personaggio principale del processo con ventidue imputati, di cui sei assolti. Fallì per una manciata di voti la corsa al consiglio comunale di Palermo ma, secondo l’accusa, avrebbe cercato di fare fruttare il ‘tesoretto’ elettorale alle successive Regionali. E i candidati si sarebbero fatto avanti per stringere un patto.
Bevilacqua, che spiccava in spregiudicatezza, avrebbe utilizzato per la campagna elettorale anche i generi alimentari del “Banco opere di carità” all’insaputa dei volontari. Regalava pacchi di pasta, oppure li vendeva a prezzi stracciati agli stessi poveri che ne avevano diritto gratuitamente.
Tra gli assolti c’è Piero Consenza, consigliere di circoscrizione. Fu intercettato mentre parlava con Bevilacqua che lo invitava a “portare il figlio per vedere cosa si può fare”. Un avvicinamento, così hanno scritto i giudici, che a Bevilacqua serviva per capire la reale capacità di Cosenza di raccogliere voti.
Ed ecco il cuore della questione giuridica. La giurisprudenza della Cassazione stabilisce che la corruzione elettorale è un reato di pericolo astratto e che non è necessario, per la sua realizzazione, lo scambio dei beni o delle prestazioni, ma è sufficiente solo la promessa o l’accordo tra le due parti (elettore e candidato). La promessa, però,
“La promessa di utilità, in cambio del sostegno elettorale – aveva sostenuto il legale di Cosenza, l’avvocato Luigi Miceli -. integra il reato, tuttavia la medesima promessa deve essere seria, concreta e specificamente apprezzabile”.
Una tesi che ha fatto breccia nel collegio palermitano. Nelle motivazioni si ricorda che nelle frasi intercettate non emergeva la concretezza necessaria. Non c’è infatti la prova che il figlio abbia trovato il lavoro grazie a Bevilacqua. “L’effettiva realizzazione della proposta può, pertanto, assumere decisivo rilievo probatorio in ordine alla serietà e alla concretezza della promessa”, conclude il legale. Insomma, Bevilacqua era un politico a caccia di voti pronto a tutto, ha commesso degli illeciti e per quasi tutti i reati è stato condannato ad una pena pesante, ma nel caso di Cosenza le sue furono chiacchiere senza esito, mezze promesse non mantenute. Il simbolo di una politica ammiccante che si muove in una palude che sfrutta la credulità degli elettori.