Felipe Melo è un tipo un po’ così. Un brasiliano che parla spagnolo e vuol convincere Dunga – che a Firenze ha giocato proprio nel suo ruolo – a convocarlo per la Selecao. Uno che fino a qualche mese fa giocava ad Almeria, dove Sergio Leone girava i suoi spaghetti western. Uno che racconta come negli spogliatoi di Maiorca e Racing Santander – sue ex squadre – le risse fossero all’ordine del giorno.
È un tipo un po’ così, il talento pagato otto milioni da Corvino per colmare il vuoto lasciato in viola da Liverani. Un atleta di Cristo come Kakà, Legrottaglie e Cavani. Come due estati or sono l’uruguayano, anche lui, solo qualche settimana fa ha detto: “In campionato puntiamo allo scudetto”. È un regista che adora Pirlo e Gerrard, prende cartellini gialli con regolarità ma da quando è in Europa non è mai stato espulso. È uno che ha chiamato il primogenito Lineker per assecondare il padre Josè, che adorava l’inglese capocannoniere dei Mondiali del 1986; ha un secondo figlio, Davì, e la figlia che nascerà fra poco si chiamerà Pietra come vuole la moglie Roberta. Felipe Melo è uno capace di martellare senza tregua e con le maniere forti Messi in un’amichevole di mezza estate. E di dirgli poi, a mezzo stampa, di darsi al basket se le “regole del gioco” non gli piacciono…
È un tipo un po’ così, nato a Volta Rotonda, nella regione di Rio de Janeiro. In Brasile ha vinto campionati, giocando con Flamengo e Cruzeiro, ha avuto allenatori come Carlos Alberto Torres e Luxemburgo, ha giocato con gente come Julio Cesar, Maicon e Adriano. Religiosissimo, non ha tatuaggi, perché nella Bibbia, che porta sempre con sé, c’è scritto che il corpo è sacro e non va segnato in alcun modo (cambiasse idea potrebbe rivolgersi a Miccoli, che ha superato la decina di tatuaggi, o al suo compagno Vargas, fermo a nove). È un tipo un po’ così, per dieci anni ha praticato, combattendo anche in Giappone e in Usa, il “vale tudo”, una sorta di ju jitsu brasiliano, praticamente senza regole. Ha iniziato come attaccante nelle giovanili del Flamengo, poi è stato arretrato a centrocampo, ma senza perdere il vizio per il gol se con l’Almeria, neopromossa che si è piazzata ottava nell’ultima Liga, ha segnato sette reti. Prandelli gli chiede più rapidità e meno dribbling, anche se ha nel sangue certe serpentine… La personalità non gli manca, la parlantina in mezzo al campo per dirigere l’orchestra nemmeno. Ha alternato cose buone e cose meno buone. Non sono ancora arrivati gol Forse non ha ancora la testa o non ancora le gambe per il calcio italiano. Oggi per lui un nuovo esame, contro il Palermo, un esame che vale doppio: di fronte c’è Liverani, a Firenze chi ancora mugugna e rimpiange il regista che ha sposato il rosanero.