CATANIA – Difficile che, dopo un secolo, le cose non siano affatto cambiate. Difficile ma non impossibile. Lo dimostra il tracciato ferroviario siciliano che, come cartina evidenzia, non reca molte differenze se si guarda al 1900 o al 2000. Eppure, e non certo per il crollo del viadotto Himera, la regione tra le più grandi d’Italia, con le principali città poste agli antipodi, una “capitale” politica e l’altra economica, è delle ferrovie che avrebbe bisogno per il proprio sviluppo. Sotto tutti i punti di vista. E invece, la Sicilia, o meglio, la politica siciliana, continua ad affrontare le cose secondo la logica, affatto vantaggiosa, dell’emergenza – che, come sempre, potrebbe durare così a lungo dal diventare la nuova normalità – senza pianificare quello che, economia e società, chiedono a gran voce da tempo: investimenti infrastrutturali con ricadute immediate sull’economia dell’Isola, non intesa soltanto dal punto di vista meramente legato al denaro.
Il treno che collega Catania – Palermo in meno di tre ore, che oggi conta 14 corse tra andata e ritorno, rappresenta in sé quanto accaduto, o meglio non accaduto, in Sicilia negli ultimi se non cento, cinquant’anni. La possibilità di collegare le due “capitali” di Sicilia era già possibile. Ma non conveniente, evidentemente. Insomma, rispondere alle richieste di mobilità della popolazione – inquinando anche meno, perché no – era già possibile. Bisognava solo volerlo.
Parte da qui la riflessione del Tavolo per le Imprese che, dopo aver affrontato la questione con alcuni esperti professori universitari, in particolare Giuseppe Inturri, esperto in mobilità dell’Ateneo di Catania e Francesco Russo, docente di Trasporti e Logistica all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha tracciato un quadro sconfortante, evidenziando le necessità per la città di Catania e gli squilibri negli investimenti rispetto a Palermo. Facendo un appello alla politica locale di intestarsi l’urgenza di “far muovere” i siciliani, i turisti, le merci. Utilizzando il treno.
“Se la Sicilia si trova all’anno 0 per quanto riguarda le infrastrutture e, in particolare le strade ferrate, Catania è all’anno -1 – afferma Giuseppe Ursino, del Tavolo. Confrontando due cartine del nodo ferroviario siciliano – prosegue – una del 1900 e una del 2000, sono praticamente identiche e sono passati cento anni! Nelle infrastrutture e nei trasporti siciliani ci sono troppe teste e nessuna regia – continua – quando, in tutte le aree metropolitane d’Europa, esistono delle autorità uniche per i trasporti dove tutti i soggetti sono rappresentati”.
Primo punto, dunque, coordinare le richieste e gli interventi, per non disperdere risorse e tempo. E per essere efficaci. Come dimostrerebbe la situazione di Catania, soffocata da una cinta ferrata che ne impedisce per buona parte l’affaccio sul mare, nonostante un progetto preveda l’interramento di binari e stazione centrale per liberare così territorio. Un progetto, legato al raddoppio del binario fino a Siracusa, che si è arenato per via di alcune complicazioni urbanistiche, da un lato, e per la concomitante necessità che la Rete ferroviaria Italiana intervenga anche per interrare i binari a sud, consentendo così all’aeroporto l’allungamento della pista.
Due necessità legate alla Rete ferroviaria italiana, nessuna delle quali pare vedere la luce. “Proprio perché ci sono troppe teste che non si mettono d’accordo – continua Ursino – l’interramento della stazione centrale di Catania è completamente fermo. Da un anno si attende un nuovo progetto da Rfi. Nel 2001, è stato definito il progetto “Nodo di Catania”, che prevedeva la realizzazione del doppio binario da Ognina alla Stazione Centrale, opera che si sta ultimando e l’interramento Stazione Centrale, il raddoppiamento del binario fino ad Aquicella”.
Opera fondamentale per il nodo Catania, fino a Siracusa. “Questa dorsale è diventata ancora più importante di prima – aggiunge Ursino – dal momento che la stazione di Bicocca è l’unica in Sicilia che può fare trasporto merci con treni in composizione di treno completo”.
Un progetto respinto dal Comune etneo, sia dalla passata che dall’attuale amministrazione, per via delle implicazioni urbanistiche che avrebbe comportato il raddoppio in centro storico. E, in ogni caso, sottolinea Ursino, non era scontato che, una volta realizzata l’opera, questa avrebbe visto treni transitarvi sopra, dal momento che di questo si occupa Trenitalia, legata agli enti locali da contratti stipulati con le regioni. La Sicilia, fino a oggi, ha investito una percentuale bassissima.E dovrebbe cambiare marcia, come evidenzia il professor Inturri, che sottolinea come il problema dell’isola sia la mancanza di rete infrastrutturale.
“Con il crollo del viadotto Himera – spiega – si è evidenziata la terribile vulnerabilità della rete stradale siciliana. Nel tempo – continua – è stato trascurato il concetto di “rete” che incorpora quello di resilienza, cioè la possibilità di avere alternative immediate ed efficaci. Con il crollo del viadotto è andato in crisi tutto il sistema”.
La disgrazia, però, per Inturri potrebbe paradossalmente rappresentare un’occasione per rilanciare la ferrovia come alternativa, fino a oggi colpevolmente trascurata. “La politica si è mossa, anche se dopo l’emergenza – continua il professore – ma occorre altro”.
Su Catania, ad esempio, dove occorrerebbero investimenti cospicui. “Si registra uno squilibrio tra Paermo e la città etnea – prosegue: il capoluogo può contare su oltre un miliardo, Catania su appena cento milioni. E invece la città ha bisogno di intrerrare i binari e la stazione, interventi positivi che producono. Poi, si trovano però 800 milioni di euro per potenziare la Bicocca – Raddusa”.
Per Inturri, sarebbe stato meglio investire nel nodo Catania. “La scelta è incomprensibile – dice – e in questo caso il Tavolo non sbaglia a dire che serve la poliica che interpreti i problemi reali”. Senza contare che, senza infrastrutture adeguate, la città etnea non entrerà nelle reti core d’Europa, ossia la parte più importante e di interesse europeo.