“Il 23 maggio di due anni fa per me fu un tempo di bilanci. Ad aprile c’era stata una sentenza del quarto processo su via D’Amelio che svelava il grande inganno, quello che verrà definito il più grave depistaggio di questo Paese. Una storia di orrore e di menzogne. Un’offesa alla buona fede della nostra famiglia e del popolo italiano”. Così Fiammetta Borsellino ieri sera su Rai Uno in studio a Che tempo che fa, il programma di Fabio Fazio.
La figlia di Paolo è tornata a parlare della vicenda del depistaggio: “Uno dei principali insegnamenti di mio padre era che bisogna parlare quando si ha cognizione di causa”. Da qui la scelta del lungo silenzio della famiglia, rotto da Fiammetta appunto negli ultimi due anni. Un silenzio che era stato dettato “dalla fiducia nello Stato, la principale eredità morale che ci ha lasciato mio padre” ma “fin dai primi minuti” dopo l’attentato “non ci fu la volontà di preservare il luogo del’eccidio: la borsa per esempio fu consegnata senza avere cura di verificare l’identità delle persone a cui si dava”.
Fiammetta, dopo essersi soffermata sui ruoli avuti nella vicenda da Tinebra e La Barbera, ha detto di non avere “avuto alcuna risposta neppure quando ho sollecitato il Csm. Eppure ho dato io stessa un contributo personale. Dopo 25 anni è stata quasi compromessa per sempre la possibilità di avere una verità, non si può lasciar passare neppure un giorno. Mi fido di chi ci darà risposte concrete, di chi, essendo esposto, svolge il suo lavoro con sobrietà. Non mi fido di chi si espone alle liturgie dell’antimafia”. Tra i possibili motivi per i quali Paolo Borsellino è stato vittima dell’attentato, per la figlia c’è il fatto che fu tra coloro che istruirono il maxi-processo ma forse anche le sue indagini sugli appalti “questo dossier però fu archiviato il 20 luglio”, ovvero subito dopo l’attentato. “Sicuramente fu un ingenuo quando disse che sapeva chi aveva ucciso il suo amico Falcone, non fu mai ascoltato dalla procura di Caltanissetta”, ha aggiunto la figlia. Infine sull’incontro con i fratelli Graviano in carcere, la figlia del magistrato ha detto che “il motore di quell’incontro è stata la necessità di dare voce ad un dolore profondo inflitto alla famiglia ma anche alla società, lo chiamo il mio viaggio nell’inferno. Il sentimento prevalente non è stata la rabbia ma solo la tristezza e il dolore di chi non riesce a far fare il passo in più che dà dignità alla persona. Riparare un danno non può voler dire stare in carcere muto”.
Nel corso dell’intervista si è parlato a lungo del depistaggio, “cominciato immediatamente” sul luogo della strage. Un depistaggio “grossolano”, dice Fiammetta, che si sofferma sul ruolo anomalo dei servizi e sul “pupo” Scarantino, il falso pentito su cui si imbastì il processo, e sulle scelte discutibili degli inquirenti.
La vice presidente della Commissione parlamentare antimafia, Jole Santelli, insieme al capogruppo di Forza Italia, Luigi Vitali, hanno chiesto al presidente della Commissione Nicola Morra, di ascoltare in commissione plenaria, Fiammetta Borsellino. “Le sue parole – dice Santelli – meritano il rispetto e la considerazione delle istituzioni e non possono passare in cavalleria”.
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