Ci scusi, carissimo Dottore Borsellino. Ci scusi per questa antimafia sbrindellata che ha circondato la sua memoria e quella di tutti i Servitori dello Stato, come il suo amico, il Dottore Falcone.
Questa antimafia, spesso più che talvolta, delle carriere e dei tradimenti. Questa antimafia che si è organizzata in correnti, in caste, in fazioni. Questa antimafia dell’arroganza e delle scomuniche. Che tutto ha fatto, in diverse occasioni, tranne che onorare i morti.
Ci scusi, Dottore Borsellino. Ci scusi per non averla protetta abbastanza, in quei giorni caldissimi di luglio. Abbiamo lasciato che andasse incontro alla sua morte, con gli occhi pieni di una terribile consapevolezza.
E non è soltanto una questione di protezioni più o meno efficaci. Tutta la città avrebbe dovuto camminare al suo fianco. Invece, come spesso accade, ci siamo accomodati sugli spalti di una tragedia annunciata. E abbiamo atteso.
Ci scusi per averla trasformata in un monumento, in un cippo di marmo, in un arnese della retorica nazionale. Così è stato anche per il Dottore Falcone. Il marmo non parla e non può dire niente.
Il marmo è freddo, la sua dimensione resta il silenzio. E noi abbiamo scelto quel silenzio, gonfio di affermazioni inutili, di vacuità, di frasi banali. Sempre gli stessi discorsi. Sempre le stesse ipocrisie. Sempre lo stesso svolazzare di giacche. Ci scusi, Dottore, per non avere conservato le sue vere parole umane.
Ci scusi, Dottore Borsellino. Ci scusi per questa storia di (in)giustizia e di vergogna. Come ha scritto il nostro Riccardo Lo Verso: “La magistratura, requirente e giudicante, era distratta per accorgersi delle panzane di un balordo come Vincenzo Scarantino. A un certo punto Fiammetta Borsellino ha deciso che non era più la stagione del silenzio. I colleghi del padre ricordavano ‘Paolo’ senza avere sentito l’urgenza di chiedere scusa per i processi farlocchi”. E basti questo.
Ci scusi, Dottore Borsellino. Per non ricordare mai i nomi degli altri eroi che morirono con lei, con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, in via D’Amelio e Capaci. Perché facciamo confusione. Perché dimentichiamo o ricordiamo male.
Perché ancora, dopo trentadue anni, non abbiamo imparato la lezione suprema di un sobrio impegno quotidiano. Per questo e per tutto, ci scusi, carissimo Dottore Borsellino.