PALERMO – Oltre un decennio a lavorare nei cantieri navali di Palermo, poi la malattia e un calvario di circa vent’anni fino al decesso, secondo i familiari dovuto alla continua esposizione all’amianto sul posto di lavoro. Ora il Tribunale civile di Palermo ha condannato la Fincantieri a un risarcimento di oltre 800 mila euro, ponendo fine all’odissea giudiziaria della famiglia di un ex dipendente scomparso pochi anni fa.
I familiari, assistiti dallo studio legale Salvatore Ferrara, imputavano alle polveri di amianto l’asbestosi pleurica contratta dal lavoratore; a supportare questa tesi la posizione dell’Inail, che aveva inquadrato il decesso come “avvenuto in conseguenza della malattia professionale”. Nel processo, Fincantieri aveva invocato la prescrizione quinquennale e l’inammissibilità dell’azione (qualche anno prima di morire, l’uomo aveva sottoscritto un verbale di conciliazione rinunciando a qualsiasi pretesa risarcitoria connessa alla malattia). L’azienda aveva anche sostenuto di aver adottato tutte le cautele previste dalla normativa allora vigente.
Ma il Tribunale di Palermo ha respinto tutte le eccezioni. La sentenza esclude la prescrizione perché questa avrebbe iniziato il decorso dalla data del decesso, momento nel quale però i parenti avevano tempestivamente intrapreso l’azione legale; nemmeno la firma del verbale di conciliazione impedisce ai familiari della vittima di chiedere il risarcimento del danno “iure proprio”, cioè per diritti acquisiti a seguito della morte di una persona.
Il giudice ha accertato che la vittima e altri dipendenti abbiano “subito una massiccia esposizione alle fibre di amianto”. Quanto alla diretta responsabilità della Fincantieri per il danno ai parenti della vittima, il Tribunale ha citato una condanna della Corte di cassazione nei confronti dei vertici societari risalente a marzo 2015: i dirigenti erano tenuti ad “attuare le misure di sicurezza e di igiene e fornire ai lavoratori i mezzi necessari di protezione, oltre che renderli edotti dei rischi specifici a cui sono esposti”. Inoltre Fincantieri avrebbe dovuto salvaguardare la salute dei lavoratori “anche a costo di interrompere l’attività produttiva”, cosa invece mai avvenuta.
Il calcolo del maxi risarcimento ha tenuto conto sia della durata della malattia che ha condotto la vittima al decesso, “all’esito – scrive il giudice – di un vero e proprio calvario”, sia dello sconvolgimento della vita dei familiari “già fortemente provati dalla lunga malattia del congiunto”. Fincantieri non ha appellato la sentenza.