CATANIA. Un piglio deciso e determinato. Un’analisi lucida e attenta. Incontriamo Ignazio Fonzo, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Catania, ben sapendo quale bagaglio di informazioni e d’esperienza lo contraddistingua a proposito di una ferita sempre sanguinante per Catania, quale quella delle organizzazioni mafiose presenti sul territorio. E quello che ne emerge è uno spaccato crudo, ma reale, dei tempi. E del contesto.
Dottor Fonzo, com’è cambiata – se è cambiata – la geografia delle organizzazioni mafiose nella città di Catania?
“Com’è ormai noto, e non occorre andare lontano per via delle sentenze e degli atti giudiziari che lo hanno conclamato, a Catania agisce dalla notte dei tempi una mafia che ha una sua genealogia. Ci sono i gruppi dei Santapaola, dei Mazzei, dei Carcagnusi che sono legati a Cosa Nostra palermitana e, poi, ci sono le altre organizzazioni anch’esse di stampo mafioso ma che nulla hanno a che vedere con Cosa Nostra con la quale sono state alleate o in conflitto a seconda delle circostanze. Alludo al clan Laudani, al clan Cappello poi Bonaccorsi-Carateddi, ai Cursoti e via via agli altri gruppi che col tempo si sono rigenerati o fusi con altri come gli Sciuto Tigna o i Di Mauro Puntina e i Pillera”.
Quale quadro ne emerge da queste diramazioni più o meno collegate?
“C’è, ormai un bagaglio di conoscenze decisamente vasto e approfondito. E, allora, qual è la situazione? Io partirei, intanto, da un’analisi. Non mi annovero tra coloro che sostengono che tutto è mafia: perchè se tutto è mafia, nulla è mafia. C’è stato un periodo storico in cui a Catania le lotte tra le organizzazioni criminali determinavano un numero di morti all’anno che non aveva eguali in nessuna parte del Paese. Non solo a Catania, per la verità, ma anche a Paternò, Biancavilla, Adrano o sul versante jonico: qui ci sono diramazioni delle organizzazioni criminali catanesi che non hanno difettato per capacità cruenta. Fino alla metà degli anni novanta il numero di omicidi per mafia era incredibilmente sproporzionato.
Quando furono create le Direzioni distrettuali antimafia la prima evenienza fu quella di porre un freno e un contrasto a quella che era l’attività militare delle organizzazioni mafiose: dico senza enfasi che sotto questo aspetto, richiamando il saggio di Fiandaca e Lupo “La mafia non ha vinto”, la situazione non è più paragonabile a quell’epoca. Quando oggi accade un omicidio di stampo mafioso, i responsabili vengono quasi subito individuati e sottoposti a procedimento penale”.
A cos’è stata dovuta questa inversione di tendenza?
“Prognosi e diagnosi, oggi sono favorevoli e non credo sia più immaginabile un ritorno a quel passato. Ed il motivo è semplice anche se può apparire riduttivo: lo scardinamento di queste organizzazioni è avvenuto grazie all’utilizzo dei collaboratori di giustizia che hanno consentito di individuare i responsabili di efferati fatti di sangue. Possiamo partire dai più eclatanti, come quello dell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà. All’omicidio dell’ispettore Giovanni Lizzio. All’omicidio dell’agente di polizia penitenziaria Luigi Bodenza. All’attentato del 1993 alla caserma dei carabinieri di Gravina. Tutti episodi che nelle aule giudiziarie hanno visto incastrare i responsabili”.
La questione mafiosa rimane, però, tristemente ancora in piedi.
“Pensare di aver risolto tutti i problemi di criminalità organizzata nel nostro territorio, trasferendo in carcere i responsabili di fatti di sangue non è la soluzione definitiva. Contrariamente a quello che sostengono taluni fautori dell’abolizione dell’ergastolo ostativo, devo constatare invece che quando degli associati mafiosi scontano la pena, non esiste ipotesi nella quale una volta tornati nei loro territori non abbiano ripreso la loro precedente attività. A tutto questo si accompagna anche la circostanza che, malgrado tutti i colpi assestati alle organizzazioni criminali, la capacità di reclutamento non è venuta meno: se guardiamo ai più recenti dati anagrafici dei destinatari di misure cautelari, troviamo molti giovani nati tra la fine degli anni novanta e l’inizio degli anni duemila.
Non può bastare da sola l’attività giudiziaria ed investigativa”.
Sembra non esserci rimedio.
“Occorre concentrarsi sul prima, non quando i reati vengono commessi. Impedire alle associazioni criminali di fare proselitismo. Sul piano economico, le attività delinquenziali hanno ancora una loro attrazione per le nuove generazioni. E dico, senza intento polemico, che vi è un numero eccessivo di soggetti che gravitano nell’orbita della criminalità che percepiscono Reddito di cittadinanza. Questa, allora, non è più lotta alla povertà se i sussidi vengono recepiti anche da chi non dovrebbe”.
Riesce a fare una distinzione tra una mafia più visibile ed una collegata, invece, ai colletti bianchi?
“La premessa è quella iniziale: ovvero, che non possiamo ricondurre tutto all’agire mafioso, perchè sarebbe un errore. Tuttavia, non vi è dubbio che in alcuni settori della nostra società, anche quella più distante da questo tipo di dinamiche, permane un atteggiamento che oserei definire di neutralità passiva. C’è una massima evangelica: “Non si può servire contemporaneamente Dio e Mammona”.
Bisogna fare una scelta: o l’uno o l’altro. Ed io ritengo che, anche nell’ambito di cui stiamo discutendo, debbano essere fatte delle scelte nette e radicali. E’ l’unico sistema che conosco per far prevalere la società sana su quella “infettata”.
Vale anche per i rapporti la politica?
“Certamente. Uno degli ambiti sui quali occorre tenere la massima attenzione è proprio quello dei rapporti di ed in ambito politico. Ognuno di noi esercita il proprio diritto di voto, ma occorre comprendere che oggi, rispetto a quanto avveniva una volta quando vi erano ideali e ideologia, le elezioni sono diventate – e non vorrei essere mal interpretato – una sorta di mercato, dove il consenso non conosce distinzioni. Da qualunque ambito politico dovrebbero essere chiare le scelte che non possono andare incontro a chi crea “imbarazzo”. Mi si replicherà: “Più di chiedere il casellario dei carichi pendenti, non possiamo fare”. Beh, non è sufficiente. Non ci si può limitare solo all’approccio formale, soltanto per mettersi la coscienza a posto. In un Comune o in un quartiere, quando c’è qualcuno che agisce fuori dai margini della legge, lo si sa o comunque si hanno informazioni a prescindere dall’esito di un’indagine giudiziaria. Ci sono scelte etiche e morali che devono prevalere sull’ambito giudiziario”.
Quanto, se lo è, è radicato il voto di scambio?
“Il voto di scambio esiste. Esiste perchè il voto di Tizio o di Caio non è disdegnato. E chi fa politica questo lo sa”.
Che città di Catania immagina da qui a 10 anni?
“Mi svesto dalla mia veste e funzione. Da normale cittadino, nato ed innamorato di questa città dalle grandi potenzialità, ma che si trova in una situazione “non ottimale” (è un eufemismo). Sogno una città che non abbia problemi di rifiuti, di strade dissestate, che consenta ai giovani di non andare via a cercare fortuna, dove si possano sviluppare turismo e industria. Senza voli pindarici, chi dovesse l’anno prossimo assumere le redini dell’amministrazione comunale, dovrebbe semplicemente porsi un programma minimo: non può essere un sindaco a risolvere i problemi occupazionali, ma può essere il sindaco a porre le condizioni affinché le condizioni occupazionali possano crearsi facendo della città un luogo di attrazione ed interesse per chi vuole investire seriamente e portare sviluppo e quindi occupazione“.
Lei è un grande appassionato di sport e di calcio. Grande tifoso del Catania. Che mi dice dell’arrivo di Pelligra?
“Guardi, io e mio figlio abbiamo fatto l’abbonamento allo stadio. Per amore verso questa squadra e perchè siamo sicuri che avremo la possibilità di esercitare il diritto di prelazione per i prossimi anni, che crediamo ci vedranno protagonisti in ben altre categorie. Questa è una domanda che mi fa pensare con tristezza alla parabola, paragonabile a metafora della nostra città: dai grandi successi al crollo.
L’unica cosa che voglio dire è che la nuova società possa servire d’esempio anche a chi andrà ad amministrare la città: si può ricostruire, pur ripartendo dalle macerie”.