Fragalà, lacrime e mistero| "Qua c'è l'avvocato a terra..." - Live Sicilia

Fragalà, lacrime e mistero| “Qua c’è l’avvocato a terra…”

Tiene la pista mafiosa. L'audio della richiesta di soccorso.

PALERMO – Sette anni di mistero. Uno dei più efferati delitti di Palermo è ancora senza colpevoli. Si è indagato e si continua a indagare per dare un volto all’uomo che picchiò selvaggiamente con un bastone l’avvocato Enzo Fragalà. Infierì sul corpo del penalista fino ad ucciderlo. Il cuore di uno dei più noti penalisti palermitani smise di battere dopo alcuni giorni di agonia.

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Le ultime notizie giudiziarie sono di pochi mesi fa. La mafia non pagò le spese legali a uno degli indagati, poi scagionati, per l’omicidio. Lo racconta il neo pentito del Borgo Vecchio, Giuseppe Tantillo, aggiungendo un tassello all’indagine sull’assassinio. Cosa nostra prendeva le distanze da quanto accaduto in via Nicolò Turristi, sotto lo studio del penalista? L’interrogativo resta in ballo. Ed è uno dei tanti di un delitto senza colpevoli. Le dichiarazioni di Tantillo erano state preceduto da quelle di un altro picciotto del clan di Porta Nuova, Francesco Chiarello.

Livesicilia nel settembre 2015 ricostruì che un insospettabile era entrato nell’inchiesta. Qualcuno che avrebbe fatto parte parte della manovalanza mafiosa. Uno di quelli a cui viene affidato il lavoro sporco e che potrebbe avere partecipato alla spedizione punitiva nei confronti del penalista palermitano. Sotto inchiesta per il delitto del 2010 erano finiti Francesco Arcuri, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia. Le prove a loro carico, però, si sono sgretolate ed è arrivata l’archiviazione.

Poi, al Borgo Vecchio si è pentito Francesco Chiarello che ha riferito di avere assistito ad una riunione in cui i boss stabilirono che Fragalà doveva essere punito. Il Borgo fa parte del mandamento di Porta Nuova. Ed è a Porta Nuova che il piano venne programmato, studiato e ordinato. Fragalà doveva essere picchiato ed invece il suo aggressore infierì sul corpo del povero penalista con un grosso bastone.

In passato era stata la collaboratrice Monica Vitale a riferire di avere ascoltato Tommaso Di Giovanni, pure lui in cella con l’accusa di essere stato un autorevole capomafia, mentre parlava con Gaspare Parisi, amante della Vitale. Fragalà non si era comportato bene con la moglie di un cliente, e il cugino dell’indagato avrebbe chiesto ai mafiosi di dare una lezione al penalista per il suo atteggiamento irrispettoso. Un movente che non ha retto. Il cliente in questione si era messo contro gli uomini del clan. Faceva furti senza autorizzazione e per questo decisero di bruciargli la macchina. La mafia avrebbe mai potuto fare un favore, uccidendo il povero Fragalà, ad una persona che si era meritata una punizione?

Ecco perché si è sempre ipotizzato un altro movente: Fragalà andava punito perché avrebbe fatto rendere dichiarazioni spontanee ad alcuni clienti. Un atteggiamento di collaborazione che, nella folle logica di Cosa nostra, avrebbe meritato una punizione. Perché è dentro Cosa nostra che si continua a indagare. Sono alcune circostanze a suggerire l’inopportunità di abbandonare la pista mafiosa. Su tutte quella emersa da un’intercettazione. “… ma non è che sono stati quelli del Borgo?”, chiedeva Giovanni Di Giacomo. “Sì”, rispondeva senza esitazione il fratello Giuseppe. Era il 19 luglio 2013. I Di Giacomo, nella sala colloqui del carcere di Parma, discutevano dell’omicidio dell’avvocato Fragalà. Il loro è un cognome pesante. Otto mesi dopo quelle parole i killer avrebbero crivellato di colpi Giuseppe in una strada della Zisa, proprio quando aveva raggiunto il punto più alto della sua carriera criminale: era Giuseppe Di Giacomo a guidare la famiglia di Palermo centro. Il fratello Giovanni, invece, è un killer condannato all’ergastolo per avere fatto parte del gruppo di fuoco di Pippò Calò. E ridevano mentre tiravano in ballo altri picciutteddi che potevano avere partecipato al delitto. Loro ridevano, qualcun altro – i familiari di Enzo Fragalà, tutti coloro che lo hanno amato e conosciuto – da quel 23 febbraio di sette anni fa, non ha smesso di piangere.

 

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