Gambino e Roccuzzo |raccontano "I Siciliani" - Live Sicilia

Gambino e Roccuzzo |raccontano “I Siciliani”

La storia del mensile fondato da Pippo Fava attraverso le parole di Antonio Roccuzzo e Miki Gambino.

l'intervista
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5 min di lettura

CATANIA – Le dita tremano sui tasti. Ripercorrere una pagina della storia del giornalismo italiano, come quella che rappresenta il mensile I Siciliani, è un onere altissimo. La testata fondata da Giuseppe Fava è per chi, come me, scrive di cronaca giudiziaria e mafia, fonte di ispirazione. Un giornale libero, indipendente, senza padroni se non la sola missione di informare. Pippo Fava nel 1981 venne licenziato dal Giornale del Sud: invece di scoraggiarsi, il giornalista trasformò questo evento della sua vita in un’occasione per realizzare il suo sogno editoriale.

“Ha avuto una grande intuizione – racconta Antonio Roccuzzo, uno dei giornalisti d’inchiesta de I Siciliani – Pippo Fava sapeva che la Sicilia aveva sete di informazione libera, dove scrivere che Catania, quanto Palermo, era una capitale della mafia”. Il mensile ha trovato spazio in un territorio, quello della stampa siciliana, trincerato dai due “giganti”. E Il direttore convoca un gruppo di giovani professionisti e lancia la sua idea innovativa. Pippo Fava incontra i suoi fedelissimi alla Baia Verde, alcuni conosciuti nell’avventura editoriale del Giornale del Sud. Elena Brancati, Cettina Centamore, Claudio Fava, Miki Gambino, Giovanni Iozzia, Rosario Lanza, Riccardo Orioles, Nello Pappalardo, Giovanna Quasimodo, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi, Lillo Venezia sono i nomi che comporranno la redazione de I Siciliani. Nessun editore “padrone” alle spalle: diventano soci della cooperativa Radar e partono ispirati dal “maestro” Giuseppe Fava.

“Non ho avuto un solo attimo di titubanza – racconta Miki Gambino al telefono – e non ho mai avuto alcun dubbio. Quando Pippo Fava ci propose di fondare un nuovo mensile, io ho immediatamente detto di si. Non facevamo solo i giornalisti – chiarisce Gambino – avendo pochi fondi finanziari, ognuno di noi doveva darsi da fare anche in altre mansioni. Chi nell’impaginazione, nella grafica, nella stampa. Io ad esempio mi occupavo della distribuzione e dei rapporti con gli edicolanti in tutta la Sicilia”.

Servirebbe uno spazio più ampio per poter raccontare tutto ciò che Antonio Roccuzzo e Miki Gambino hanno sussurrato tra i ricordi e il dolore nel ripercorrere quella notte. E mentre dei “pilastri” del giornalismo italiano parlano del loro “maestro”, una penna prende gli appunti e, cercando di scavalcare il tempo, rimette piede in quella redazione diretta da Pippo Fava.

Il clima era “di piena solidarietà – spiega Roccuzzo – di amicizia, di sorrisi e anche di “casino”. Eravamo un gruppo di giovani che avuto una grande occasione di libertà, ed hanno avuto anche il privilegio, che non tutti hanno, di incontrare un bravo maestro di giornalismo. E’ quello che io chiamo l’attimo fuggente”. Ed è questo il cuore pulsante del libro di Antonino Roccuzzo e della sceneggiatura del film, “I ragazzi di Pippo Fava” che sarà trasmesso questa sera su Rai Tre. Il manoscritto è stato all’interno di un floppy per quasi vent’anni, poi “ho capito – dice Roccuzzo – che avevo qualcuno a cui raccontare quella storia, cioè i miei figli, e a loro e a tutti i giovani in cerca di parole libere. I Siciliani è stata per un gruppo di ventenni un’occasione di libertà, è questa non è archeologia. Perché non esiste giornalismo senza libertà”.

Pippo Fava che direttore era? “Era aperto, allegro, divertente – afferma Miki Gambino – ci chiedeva di raccontare le persone, di fare conoscere ai lettori i protagonisti e le loro storie”. E all’improvviso quel gruppo di “carusi” non avrà più la sua guida, perché il 5 gennaio 1984 alle 22 sarà ucciso, morirà in via dello Stadio. “Io sono stato l’ultimo a vederlo quella sera – racconta Gambino – tanto che sono stato anche interrogato perché ci sono stati sospetti che potevo essere stato io…” Inutile scrivere quella parola. Ma perché? “Questioni di donne e debiti” racconta il giornalista. Il cuore, insomma, di quel depistaggio mediatico che ha accompagnato i primi anni dopo il delitto. I Siciliani continuerà, nonostante tutto, ma qualcosa era cambiato in maniera radicale. Il direttore, l’anima del giornale, non c’era più. Il suo spirito è rimasto nell’anima di quei “ragazzi” che oggi, da “adulti”, continuano a scrivere seguendo le orme di quel maestro sorridente e divertente.

“I Siciliani dopo la morte di Pippo Fava – afferma Gambino – diventò un giornale più cupo, ossessivo e arrabbiato. La rabbia nel sapere le cose, nel conoscere il perché di quel delitto ma non vederlo scrivere negli atti giudiziari”. Antonio Roccuzzo ricorda la grande forza del gruppo che ha deciso di continuare il progetto del direttore. “Eravamo giovani e con poca esperienza – ammette Roccuzzo – avevamo perso la guida, eravamo diventati improvvisamente, drammaticamente e irreversibilmente adulti. Noi però siamo andati avanti avendo nell’orecchio le parole d’ordine di Fava, e cioè raccontare i fatti senza fare sconti a nessuno. La cosa di cui ci siamo resi conto è che eravamo soli. Sentivamo improvvisamente l’ostilità di Catania, come se ci fosse un esercito schierato in una città occupata”.

L’ultimo numero in edicola de I Siciliani è datato agosto 1986, poi nonostante gli sforzi di tutti, la chiusura è stata inevitabile. Oggi, però, c’è una grande consapevolezza: tutto ciò che “quei carusi” hanno scritto era vero. Lo hanno dimostrato i fatti, le inchieste giudiziarie, i processi. “Tutto quello che abbiamo scritto – afferma Roccuzzo – era oro colato. Noi prendevamo le carte e le pubblicavamo, non facevamo chissà quale magia, facevamo ciò che ogni giornalista poteva fare, cioè lavoro di ricerca, ma in quegli anni nessuno lo faceva, noi eravamo gli unici”. I Siciliani che parlavano di Mafia, di sistema di potere, di collusione, di quei Cavalieri del lavoro che avevano legami d’amicizia con i vertici di Cosa Nostra. Fatti che, oggi, noi cronisti scriviamo con molta più libertà. Ma a chi fa questo lavoro Miki Gambino vuole chiarire una cosa: “Siate giornalisti liberi, ma non illudetevi che questo serva a cambiare il mondo”. Quasi, un pugno allo stomaco.


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