Tante minacce ma niente colpevoli | E aumentano i 'protetti' di Stato - Live Sicilia

Tante minacce ma niente colpevoli | E aumentano i ‘protetti’ di Stato

Intimidazioni telefoniche, lettere minatorie, proiettili e frasi intercettate: l'allarme sicurezza scatta ad ogni piccolo e grande segnale, ma raramente gli autori vengono individuati. Nel frattempo, però, le scorte vengono assegnate.

PALERMO – Lettere minatorie, scritte sui muri, proiettili imbustati e annunci di morte, telefonici o affidati alla grande rete Internet. E poi le intercettazioni dei mafiosi – veri, presunti e pseudo tali – che parlano – a volte straparlano per la verità – commentano le faccende politiche e di cronaca, o scaricano la rabbia contro qualcuno. È vero che prevenire è meglio che curare, sacrosanto quando in ballo c’è la vita delle persone, ma è lecito chiedersi se la girandola delle intimidazioni denunciate abbia provocato qualche indagato. Insomma, se si sia riusciti a risolvere il caso, dando un volto al minacciatore di turno fino ad arrivare alla sua condanna. La risposta è no, salvo sporadiche occasioni ed escludendo le volte in cui le minacce erano frutto di beghe personali. Niente che aveva a che fare con la criminalità organizzata e mafiosa. Non importa se e cosa sia stato scoperto al termine delle indagini, doverose e a volte pure complicate. Quel che conta è la minaccia in sé, lo spettro del tragico passato di morti e bombe che si proietta nel presente.

Basta e avanza per convocare comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica, assegnare scorte a chi non ne ha ancora una e innalzare il livello di guardia per chi scortato lo è già. E così, senza neppure essere riusciti a capire cosa ci sia dietro, l’elenco dei protetti di Stato aumenta. I numeri ci dicono che nella sola città di Palermo ci sono 125 personalità scortate da più di seicento agenti fra poliziotti, carabinieri, finanzieri e uomini del Corpo forestale dello Stato. Si tratta di magistrati, politici e autorità varie. Per quelli che stanno in trincea le minacce sono concrete. E, vista la delicatezza della faccenda, il solo possibile rischio giustifica la massima protezione. Ci sono casi, però, di fronte ai quali persino magistrati e investigatori navigati si dicono perplessi. Sono popolati di gente che la lotta alla mafia l’ha fatta, nella migliore delle ipotesi, sempre e solo a parole oppure, nella migliore, il cui impegno risale indietro negli anni tanto da diluire l’attualità del rischio. Ci sono situazioni in cui una sola frase captata dalle microspie nel corso di lunghe conversazioni fa scattare l’allarme. Altre in cui la persona minacciata non viene tirata in ballo esplicitamente, ma la sua identificazione è dedotta dal contesto dell’intercettazione stessa.

Una scorta, però, è per sempre. Difficile che si torni indietro. Ed è forse laddove la paura non è giustificata che si annida un altro rischio, quello di vedere gli uomini delle scorte svolgere funzioni non di servizio, ma al servizio di qualcuno. La recente cronaca ci ha con segnato – per ultimo nell’inchiesta sull’ex presidente delle Misure di prevenzione, Silvana Saguto – capitoli investigativi alla voce “impiego della scorta per fini non istituzionali”. È lo stesso Csm, nell’atto di accusa nei confronti dei magistrati palermitani, ad avere parlato di “soddisfazione di esigenze private”. Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. A volte dietro la scelta dell’agente di ritirare in profumeria un accessorio estetico ci può essere un’esigenza di sicurezza. Per l’uomo della scorta è più opportuno e meno dispendioso “sacrificarsi” e passare in negozio piuttosto che mobilitare due macchine e chissà quanti uomini per un servizio esterno. Molto, ma molto più complicato giustificare la trasformazione di una blindata in un furgone da trasloco. Ve la immaginate una pesante macchina con i vetri oscurati e antiproiettile che trasporta sul tetto un materasso dalla casa in città a quella di villeggiatura di un magistrato? Smettete di immaginare, è accaduto.


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