Giulia e i femminicidi, messaggio ai maschi: avete rotto i 'cabbasisi'

Giulia e i femminicidi, messaggio ai maschi: avete rotto i ‘cabbasisi’

Una tragedia e la rabbia

D’impulso ho scritto su Facebook il seguente post: “Messaggio agli uomini, meglio, ai maschi (essere uomini significa altro) patologicamente gelosi, ossessivi, possessivi, brutali, violenti fino all’assassinio: ci avete rotto abbondantemente i cabbasisi, come esclamerebbe il commissario Montalbano”. Un modo per non usare un’espressione ben più esplicita e volgare.

La cultura patriarcale e le polemiche

Ma al di là dell’impulso, dell’istintiva rabbia scagliata su chi usa violenza, qualunque forma di violenza, sulle donne vorrei proporre un paio di considerazioni. La prima. Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, la ragazza uccisa a coltellate dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ha parlato di cultura patriarcale che guida tuttora i comportamenti degli uomini nei confronti delle donne. Il femminicida, cioè, non è una persona malata, forse lo è anche, ma essenzialmente è il prodotto di una mentalità sedimentata nei decenni, perdurante, che vede nella donna una sorta di proprietà. Impensabile, pertanto, per certi uomini accettare la decisione di una moglie, fidanzata, compagna, di rompere una relazione o di vivere liberamente senza maniacali controlli e divieti.

L’educazione in famiglia

Almeno due generazioni di contemporanei sono cresciuti (cresciuti, non educati), specialmente al Sud, secondo una cultura patriarcale intesa in senso generale, mio padre e poi io tra questi, eppure non ho mai visto mio padre scagliarsi contro mia madre, fosse pure solo verbalmente, e mai a me è venuto in mente di usare la scorciatoia del sopruso per risolvere gli inevitabili conflitti che possono sorgere in una coppia. Si discute civilmente e basta. Di più, non ho mai visto nei miei nonni, gente nata tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, atteggiamenti di padronanza e superiorità con vittime le mie nonne. Nonostante, bisogna sottolinearlo, la funzione nefasta della Chiesa di allora inculcante il concetto di sposa e madre subordinata al marito, complice una legislazione che prevedeva, orrore, il delitto d’onore.

Cosa vuol dire ciò, che la cultura, anzi, sub cultura del dominio del maschio sulla femmina è un’invenzione? No, vuol dire che centrale è il tipo di educazione che si riceve in famiglia. Vale pure per l’omofobia, il razzismo.

La scuola e il cortocircuito

E vado alla seconda considerazione. La scuola. Sinceramente, non mi piace questa pressione continua sulla scuola, sugli insegnanti come soluzione di tutti i mali della società. Secondo un pensiero diffuso bisognerebbe dedicare nelle scuole un’ora a settimana per ogni singola problematica o emergenza. Non resterebbe tempo per l’italiano, la matematica e altre materie. Un’ora per il razzismo, un’ora per l’omofobia, un’ora per il bullismo, un’ora per la mafia, eccetera eccetera. Dimenticando che il primo e assoluto luogo educativo è la famiglia. È vero, spesso la famiglia non c’è, è solo sulla carta, però esistono il padre e la madre che indipendentemente dalla qualità del loro rapporto hanno il dovere di dare esempi positivi ai propri figli, in particolare insegnare il rispetto per il prossimo.

Se latitano non potrà sostituirli la scuola, tanto meno lo Stato con leggi maggiormente repressive (che servono). Qui scatta il corto circuito e il rimpallo delle responsabilità che non aiuta, piuttosto aggrava la situazione. In conclusione, sebbene l’ampiezza del tema e la drammaticità di gravissimi e purtroppo numerosi eventi delittuosi imporrebbero ulteriori riflessioni, invece di scaricare la colpa a destra e a manca quando accade un femminicidio guardiamo dentro noi stessi per capire se consapevolmente o meno siamo stati o siamo portatori di una mentalità negativa e diseducativa su molti fronti, specialmente sul fronte del rispetto verso le donne.


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