Sono ormai maturi i tempi per procedere ad una riforma della giustizia tributaria. Una riforma che oggi, più che mai, appare assolutamente necessaria ed urgente. E’ da anni che si continua ad auspicare una giurisdizione tributaria, composta da giudici a tempo pieno, professionalmente preparati e, principalmente, tali da evitare qualunque sospetto di mancanza di terzietà nella loro attività.
La Giustizia Tributaria, infatti, non è più quella del 1864, quando per la prima volta vennero istituite delle Commissioni per definire le controversie tra gli uffici fiscali ed i contribuenti. Non è nemmeno quella del 1972, quando fu emanato il Decreto del Presidente della Repubblica n.636 del 26 ottobre 1972. E non è nemmeno quella del 1992, quando vennero emanati i Decreti Legislativi 545 e 546, entrambi del 31 dicembre 1992, due provvedimenti legislativi ai quali va dato il giusto merito di avere affermato, finalmente in maniera chiara e definitiva, la natura giurisdizionale, e non amministrativa, della Giustizia Tributaria, peraltro agganciando la relativa normativa procedurale alle norme del codice di procedura civile. Oggi i tempi sono cambiati. Si avverte, principalmente, l’esigenza di avere un processo tributario in grado di assicurare giustizia nel più breve tempo possibile, garantendo il “giusto processo” tale da dare certezza ai contribuenti e, più in generale, a tutti coloro i quali vorrebbero avere rapporti commerciali con il nostro Paese ma temono di non essere sufficientemente garantiti nel caso di controversie. Si avverte l’esigenza di avere un corpo di giudici tributari i quali, come si diceva prima, non solo siano altamente preparati nelle materie tributarie, civilistiche e processuali che costituiscono il loro campo di azione, ma siano anche in grado di evitare qualunque sospetto di mancanza di terzietà che, purtroppo, l’attuale organizzazione amministrativa delle Commissione Tributarie ha difficoltà ad escludere.
E ciò certamente non per colpa dei giudici. Questi, infatti, reclutati, con selezioni estremamente rigorose, tra i Magistrati Ordinari, Amministrativi e Contabili, nonchè in altre categorie di “laici” appartenenti alle Professioni degli Avvocati, dei Dottori Commercialisti e degli ex dirigenti della Pubblica Amministrazione, professionalmente molto preparati e costantemente aggiornati, hanno sempre svolto e continuano a svolgere il loro lavoro con professionalità, dedizione e competenza.
Bensì per colpa dell’attuale organizzazione amministrativa della Giustizia Tributaria. Un’organizzazione la quale non solo continua a “mantenere le distanze” tra la Magistratura tributaria e le altre Magistrature, non solo continua ad avvalersi di magistrati, sia “togati” che “laici” (questi ultimi appartenenti alle Professioni), senza essere “a tempo pieno” considerato che questi giudici possono svolgere contemporaneamente altre attività (evidentemente non incompatibile con quella di giudice tributario), non solo prevede un compenso per i Giudici che più che irrisorio risulta assolutamente ridicolo in rapporto alla quantità ed alla qualità del lavoro da svolgere e, quindi, tale da far ritenere che la giustizia tributaria sia quasi un’attività di “volontariato”, ma che, principalmente, continua a mantenere una dipendenza logistica dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che certamente genera il sospetto che la Giustizia Tributaria non sia un vero Organo Giurisdizionale come affermato definitivamente nel 1992, ma sia ancora un Organo Amministrativo dipendente dall’Amministrazione Finanziaria e, quindi, “di parte”. In realtà, fortunatamente, non è così.
La professionalità dei Giudici e l’attività svolta dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, Organo di autogoverno dei Magistrati Tributari, ma anche l’Associazione Nazionale Magistrati Tributari, permettono l’espletamento dell’attività giudiziaria tributaria in modo veramente esemplare, sotto il profilo della professionalità e dell’imparzialità.
Ma purtroppo, com’è noto, il Giudice non solo deve essere imparziale, ma deve anche apparirlo. E qui nasce il problema. Non è facile dar prova di terzietà in presenza di una normativa che, oltre ad affidare al Ministero dell’Economia e delle Finanze il pagamento dei modestissimi emolumenti spettanti ai Giudici, considera gli Uffici delle Commissioni Tributarie (sostanzialmente le cancellerie ed i loro dipendenti, funzionari e dirigenti) come strutture facenti capo al Ministero delle Finanze, un Ente che, nella maggior parte dei casi, costituisce (anche attraverso l’Agenzia delle Entrate) una delle parte del processo.
Una situazione stigmatizzata, addirittura, dal Parlamento Europeo in occasione di una interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione Europea, la n. E-004718-18 del 17 settembre 2018.
In queste condizioni, secondo molti autorevoli giuristi, la figura del giudice tributario è ancora ben lontana dall’integrare quel modello di giudice indipendente, terzo e imparziale (artt.106, 108 e 111 della Costituzione), in grado di realizzare il giusto processo costituzionalmente garantito.
In verità, le proposte di modifica legislativa della Giustizia Tributaria sono numerose. Tutte le proposte non prevedono modifiche costituzionali, ma puntano a realizzare una giustizia tributaria che sia una giurisdizione speciale, puntando essenzialmente su:
1) Un ruolo autonomo della magistratura tributaria, distinto da quella ordinaria, amministrativa, contabile e militare,
2) Giudici tributari a tempo pieno, assunti per concorso pubblico.
3) Giustizia tributaria non più affidata al MEF (onde evitare sospetti di mancanza di imparzialità), bensì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
4) Previsione di due gradi di merito (Tribunali Tributari e Corti di Appello Tributarie), oltre al giudizio di legittimità in Cassazione.
5) Per quanto riguarda il processo tributario, valorizzazione della fase istruttoria e del contraddittorio, in una prospettiva di maggiore tutela delle garanzie per i cittadini.
I tempi sono maturi, le proposte ci sono. Speriamo che questa nuova Giustizia Tributaria diventi al più presto realtà.