Tra i mille segreti che si è portato nella tomba ce n’è uno avrebbe consentito la più attesa delle operazioni di polizia. E cioè la cattura di Matteo Messina Denaro. Vito Gondola è stato un fedele servitore dell’imprendibile padrino di Castelvetrano. Ne curava gli affari e soprattutto smistava i suoi ordini.
Vito Coffa, così era soprannominato, era un mafioso di altri tempi. Al lui si era rivolto Messina Denaro per allestire una delle ultime, ed efficienti, reti di pizzinari. Che avesse un canale privilegiato di comunicazione con il latitante era emerso quando gli toccò mediare fra due cordate che si facevano la guerra per la realizzazione del parco eolico “Vento di vino”, in contrada Ciavolo, nella zona compresa tra Mazara del Vallo e Marsala. Da una parte gli uomini di Castelvetrano, tra cui Lorenzo Cimarosa, cugino di Messina Denaro, e dell’altra i marsalesi, capeggiati da Carlo Loretta e dall’imprenditore Baldassare Marino. Gondola convocò una riunione per comunicare la sua decisione. Un verdetto a cui nessuno poteva opporsi. E così la fetta più corposa dei subappalti toccò alla cordata di Castelvetrano. Una piccola parte andò a Loretta, mentre resta tuttora un mistero il destino riservato a Marino, assassinato a colpi di fucile il 31 agosto 2013.
La decisione di Gondola fu accettata da tutti. Non poteva essere altrimenti, dicono gli investigatori. Perché il boss mazarese faceva parte di una cerchia ristrettissima di fedelissimi del latitante. Troppe volte la parola “fedelissimi” è stata sbandierata anche quando ci si trovava di fronte ai gregari del clan. A Gondola, invece, l’aggettivo calzava a pennello.
Fino al marzo 2010 il sistema di trasmissione della corrispondenza era stato gestito dai cognati del latitante, Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro, e dal fratello Salvatore. Quando furono tutti arrestati, Messina Denaro si trovò costretto a guardare al passato per rimpiazzarli. C’era pure Gondola alla cena organizzata nel dicembre del 1991 a base di ostriche, aragoste e Dom Perignon nella casa di Tonnarella dove dimorava Totò Riina. Fu lì che il capo dei capi decise di sterminare i nemici della mafia marsalese. Come storico era il nome di Michele Gucciardi, boss di Salemi, che il postino di Messina Denaro lo aveva già fatto negli anni Ottanta. “Pizzinaro” di epoca recente sarebbe stato al’imprenditore Domenico Scimonelli, originario di Partanna.
La stazione di posta era una masseria nelle campagne trapanesi. Lì discutevano di “mangimi”, “spargi-concime” e “forbici da tosa”, ma in realtà parlavano dei pizzini di Messina Denaro. Si incontravano all’aperto dove era complicatissimo piazzare microspie e telecamere. Sapevano di essere seguiti dagli investigatori ma, come diceva Gondola, “non è che uno si… impressiona non deve camminare più… se dobbiamo camminare dobbiamo camminare…”. Era un lavoro rischioso, ma qualcuno doveva pur farlo, nonostante Gucciardi sapesse che “siamo tutti guardati”.
I pizzini sono arrivati dal 2011 al 2014, tre o al massimo quattro volte all’anno. Andavano letti e subito distrutti. Poi, toccava a Gondola distribuire gli ordini e attendere l’arrivo delle risposte che andavano preservate dagli occhi indiscreti. “…abbasta questo Vicè … questo vieni qua prendi il martello… zappa qua sotto…”, diceva Gondola a Vincenzo Giambalvo che aveva fatto “un poco di buco”. Un codice cifrato teneva sotto copertura i mittenti, anche se Gondola sapeva bene chi fossero gli autori (“… quello di Salemi… ha scritto…”). Così come conosceva la tempistica delle comunicazioni: “A quindici giorni… oggi ne abbiamo due… uno… trentu… uno… perciò giorno 16, giorno 15 noi ci dobbiamo vedere”. E lo sapeva pure Gucciardi: “…entro il 15 queste cose devono partire destiniamo la data per buono, il 14 va bene… il 14, alle case la dove ci sono le olive… tu a Mimmo gli fai sapere che entro il 15… prima… no giorno 15, prima di giorno 15 si deve incontrare con lui…”. Che aggiungeva: “Io me lo immaginavo che c’era qualcosa in arrivo con la stessa carrozza arrivaru”.
Chi era l’uomo della carrozza? “… gliela posso dare a quello… – diceva Gondola – che la devo dare io a lui… perché tutte le cose a me…mi pare giusto… ma a chi lo devo dare io… giusto è… se me li mandi tutti cose… riceve tutte le cose… se mi mandi una partita… sono… come per la prudenza … decidi tu… e glieli devo mandare a dire queste cose”.
Il nome dell’ultimo anello della catena, l’uomo che metteva i pizzini nelle mani di Messina Denaro, Vito Gondola se l’è portato nella tomba.