Il giorno di Graviano | "Dell'Utri? Non lo conosco" - Live Sicilia

Il giorno di Graviano | “Dell’Utri? Non lo conosco”

Smentita la deposizione di Spatuzza
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La smentita alle parole del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza arriva, forte e chiara, quando le domande del procuratore generale Nino Gatto si fanno più precise. “Non ho mai fatto riferimento a promesse ricevute, né alla possibilità di parlare con i magistrati, qualora presunti impegni non fossero stati mantenuti”. Con garbo insolito per un boss che commenta le dichiarazioni di un pentito, Filippo Graviano nega di avere accennato, all’amico di un tempo, l’esistenza di una trattativa tra mafia e politica. Una smentita secca, come secca è la risposta alla domanda dell’accusa sui suoi rapporti con Marcello dell’Utri. “Mai conosciuto – dice Graviano – Mai avuto rapporti diretti o indiretti con lui. Assolutamente”. Affermazione che piace al senatore. “Lui sì che ha intrapreso un cammino di ravvedimento – commenta il politico rasserenato dopo la testimonianza del padrino – non Spatuzza”. Da Bruxelles lapidario il commento del premier Berlusconi: “E che vi devo dire..? Ci sono state delle comiche”, risponde ai cronisti.

Chi si aspettava, dunque, rivelazioni clamorose dal capomafia di Brancaccio, citato nel processo al senatore del Pdl per concorso in associazione mafiosa, è rimasto deluso. Ma se sul tema del dibattimento – le presunte collusioni del politico – il boss non lascia spiragli, nella stessa scelta di rispondere al pg, nei ripetuti riferimenti a “un percorso di legalità intrapreso ormai da 10 anni”, non è difficile cogliere un messaggio. Lo stesso lanciato dal fratello minore, Giuseppe, con cui per anni ha spartito l’eredità stragista dei corleonesi. Il più piccolo dei Graviano lamenta, infatti, uno stato di salute precario, provocato dai rigori del 41 bis, per giustificare la decisione di non rispondere alle domande dell’accusa. Decisione – specifica il boss – che potrebbe essere rivista se le condizioni dovessero migliorare, alias: in caso di “addolcimento” del regime carcerario. In una sorta di gioco delle parti, insomma, in cui Filippo indossa i panni del capomafia disposto al dialogo e Giuseppe quello dell’uomo d’onore intransigente – secondo gli inquirenti – l’intenzione dei due fratelli stragisti è chiara: rivolgersi a chi un tempo avrebbe assicurato il rispetto di impegni poi traditi. Un modo per dire: per ora non parliamo, ma le cose potrebbero cambiare. Giuseppe prova addirittura a leggere una lettera indirizzata alla corte d’appello in cui si denunciano le crudeltà del carcere duro: ma per il presidente, Claudio dall’Acqua, la missiva col processo non c’entra nulla. E la stigmatizzazione del 41 bis, da parte del capomafia, non finisce sotto ai riflettori accesi sull’udienza.
Al di là delle interpretazioni del dire e non dire mafioso, però, l’effetto della condotta dei due Graviano nel processo Dell’Utri, in cui i boss erano citati come testi a riscontro delle verità di Spatuzza, è innegabile. Come innegabile è il peso della deposizione dell’altro capomafia: Cosimo Lo Nigro, pure lui di Brancaccio, pronto a smentire il pentito su un punto cardine dell’accusa: quello dell’incontro avvenuto nel ’93 a
Campofelice di Roccella, in cui Giuseppe Graviano, secondo quanto dice il collaboratore, avrebbe esortato i suoi a fare saltare al piu’ presto una vettura imbottita di tritolo allo stadio Olimpico, ennesimo atto della strategia della tensione che avrebbe dovuto fare smuovere chi di dovere. Secondo gli inquirenti: gli interlocutori politici della mafia. Filippo, dunque, nega i rapporti con dell’Utri e nega di avere detto a Spatuzza di essere pronto a parlare con i magistrati se le cose fossero andate diversamente dal previsto. Lo Nigro non è mai stato a Campofelice di Roccella. Resta il terzo punto cruciale dell’accusa: l’incontro, che sarebbe avvenuto a Roma, a gennaio del 1994, tra Giuseppe Graviano e
Spatuzza. Un momento chiave nella prospettazione del pm, perché allora il capomafia avrebbe detto esplicitamente al collaboratore che, grazie a Berlusconi e Dell’Utri, Cosa nostra aveva “il Paese in mano”. Su questo, solo Giuseppe Graviano avrebbe potuto fare chiarezza. Ma il boss, per ora, ha scelto di non parlare.


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