Spina e l'investitura dall'alto | "Qui siamo a casa mia" - Live Sicilia

Spina e l’investitura dall’alto | “Qui siamo a casa mia”

Si sentiva forte Guido Spina. Qualcuno lo aveva autorizzato a guidare la famiglia mafiosa del rione Zen di Palermo. E poteva battere i pugni sul tavolo anche al cospetto di Alessandro D'Ambrogio, che sarebbe diventato il capomafia di Porta Nuova.

OPERAZIONE FIUME - IL PERSONAGGIO
di
2 min di lettura

PALERMO – Si sentiva forte Guido Spina. Forte di un’investitura ricevuta dall’alto. Qualcuno lo aveva autorizzato a guidare la famiglia mafiosa dello Zen. Nel dicembre 2012 lo spiegava al suo interlocutore, un tale Giovanni: “Tutti i guadagni qua ce li ho io… la prima cosa l’ho io… ma all’epoca quando ci siamo seduti e questa parola rimasta ed è rimasta fino ad oggi”.

L’investitura, dunque, sarebbe arrivata, per sua stessa ammissione, nel corso di una riunione ufficiale, con i pezzi da novanta seduti attorno allo stesso tavolo. Millantava? No, secondo gli investigatori, che per rafforzare la loro tesi citano il passaggio di un’altra intercettazione. “Gli ho detto che deve dire ad Alessandro qua siamo a casa mia”, spiegava Spina a qualcuno che si era messo in testa di spacciare fuori zona. Secondo gli investigatori, stava parlando di Alessandro D’Ambrogio, allora uomo forte a Ballarò, altra tradizionale piazza dello spaccio, e di recente piazzato dagli inquirenti al vertice del mandamento di Porta Nuova. Se Spina poteva battere i pugni sul tavolo al cospetto di colui che sarebbe diventato un potente capomafia allora, dicono i pm, era davvero in possesso di un’autorizzazione dall’alto.

La conferma sarebbe arrivata nel 2013 prima con le dichiarazioni di Manuel Pasta (“… è uomo di Cosa nostra che si occupava dello Zen 2”) e successivamente con quelle di Salvatore Giordano. Quest’ultimo collaboratore raccontò che Spina aveva contatti diretti con Giuseppe Liga, l’architetto indicato come il successo del capomafia di San Lorenzo, Salvatore Lo Piccolo. Spina ha sempre mostrato “l’arroganza del potere”, come l’ha definita il capocentro della Dia di Palermo, Giuseppe D’Agata. Un’arroganza che emergeva dalle sue intercettazioni: “… appena esco fuori vado in tutte le case, e te lo sto dicendo io, perché non sono spavaldo, ve ne dovete andare tutti forse non avete capito, qua possono scappare tutti dallo Zen perché la pila la devo vendere solo io o serve o non serve, o è buona o è per l’immondizia, o è cara la devo vendere io”.

Che Spina facesse parte di Cosa nostra sarebbe emerso anche dalle sue paure. Il giorno che si sparse la voce che qualcuno allo Zen aveva saltato il fosse fu lui stesso a rassegnare forti preoccupazioni a Vincenzo Cosenza, che assieme a lui è stato arrestato: “Mimmo Giordano si è pentito… ormai siamo persi”. Cosenza: “Sei sicuro?”. Risposta secca: “Si è venuta la moglie”.

La moglie del collaborare dunque, appresa la notizia, era corsa a parlarne con Spina. Una chiara presa di distanza dalla scelta del marito. Era Spina l’uomo a cui portare rispetto e alla cui porta bussare per trovare protezione. Salvatore Giordano, il fratello di Mimmo, pure lui pentito, lo sapeva già dal 2010. Agli investigatori disse, mostrando alcuni appunti manoscritti, che si trattava della contabilità del pizzo. Stava mettendo tutto neo su bianco per consegnare il materiale a Spina una volta che questi fosse stato scarcerato. Era una delle dodici volte in cui l’uomo oggi tornato in carcere finiva ai domiciliari per motivi di salute.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI