I concerti dei neomelodici: un monopolio voluto dai boss - Live Sicilia

I concerti dei neomelodici: un monopolio voluto dai boss

Cosa Nostra controlla le feste nelle borgate con la benedizione dei fratelli Di Giovanni

PALERMO – Ci sarebbe un monopolio autorizzato da Cosa Nostra nel settore dei cantanti neomelodici napoletani.

Gli impresari sponsorizzati dai pezzi da novanta della mafia palermitana piazzerebbero gli artisti sul palco nelle feste dei quartieri che ricadono nel mandamento mafioso di Porta Nuova.

Il primo a parlarne era stato il boss del Borgo Vecchio Giuseppe Tantillo. Quando divenne collaboratore di giustizia raccontò di “un impresario diciamo di cantanti napoletani che lui ce l’hanno nelle mani, diciamo, il mandamento di Porta Nuova a questo signore… diciamo si occupava di fare tutte le feste nel mandamento di Porta Nuova cioè al Capo, alla Kalsa, in tutte le borgate che fanno parte del mandamento di Porta Nuova in quanto lui era una persona che dopo passava dei soldi al mandamento”.

Le dichiarazioni di Tantillo sono tornate di grande attualità nell’inchiesta della Procura di Palermo che ha portato all’arresto di venti persone fra presunti capi, gregari e personaggi contigui alla famiglia mafiosa del Borgo Vecchio.

La notte del 24 gennaio scorso ci fu una riunione a casa di Jari Ingarao, uno degli arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo. Tra i presenti c’erano anche il cantante Agostino Galluzzo, in arte Daniele De Martino, e Salvatore Battaglia titolare del bar Bobbuccio. Ce l’avevano con l’impresario Salvatore Buongiorno, a cui contestavano di non rispettare gli accordi economici.

Ed è registrando la conversazione che sono saltati fuori i nomi di Tommaso e Gregorio Di Giovanni, i due fratelli, oggi entrambi in carcere, che si sarebbero passati il testimone della reggenza del mandamento.

L’intercettazione è di pochi mesi fa, ma ricostruisce una vicenda del 2017. De Martino era stato contattato dal’impresario Salvatore Buongirono per esibirsi, ma il cantante aveva preferito declinare l’invito.

E così fu convocato nella macelleria dei Di Giovanni, in via Silvio Pellico, alla Zisa: “A me mi ha mandato a chiamare Masino quando è uscito”. In effetti Tommaso Di Giovanni fra il 2016 e il 2017 è stato un anno in libertà prima di tornare in carcere: “Mi ha portato nella carnezzeria, dice: Masì, dice, qua c’è Daniele… mi fa… come mai tu non volevi?… e gli ho spiegato questo, questo, questo e questo…”.

Prima di Masino Di Giovanni erano stati convocati dal fratello Gregorio che dal dicembre 2018 è in carcere con l’accusa di avere fatto parte della nuova cupola di Cosa Nostra: “Scusami, prima di Masino aveva chiamato Gregorio… dice: senti, dice, siccome c’è questo Totò Buongiorno, dice, che non ce la faccio più si sta portando il cervello”.

Buongiorno sarebbe stato redarguito dal capomafia: “Totò, ascolta… vedi che i cristiani ora quando tu li chiami, gli dici un euro… o li arrestano o non li arrestano, tu devi andare a compimento. Cominciando da questo minuto in poi, vi mettete d’accordo voi per i cachet, quello che sia… dice: a me non m’interessa”.

Le feste di quartiere, oltre che per la raccolta del pizzo porta a porta con la scusa di pagare i costi dell’organizzazione, sono eventi in cui si misura il potere e la capacità di controllo dei capimafia. E i Di Giovanni capi a Porta Nuovo lo sono stati per davvero.


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