PALERMO – Per l’Europa è stato il 6 giugno del 1944, per Palermo il nuovo D-Day porta la data di un non ancora noto giorno di inizio marzo 2017. Se ci è consentita la metafora storica, la giornata di oggi che apre il mese della “Liberazione rosanero”, nonostante le dimissioni di Maurizio Zamparini da presidente del Palermo calcio siano state, annunciate in mattinata, e ufficializzate alle 18.01 del 27 febbraio, passerà alla storia come la data dello sbarco degli americani a Palermo che vengono a “liberare” il capoluogo calcistico siciliano da un generale che ha governato il calcio in città per tre lustri, caratterizzati da successi nel primo decennio e da cocenti delusioni nella terza parte della sua gestione. Da illuminate intuizioni di mercato, che hanno dato il vanto al Palermo di aver portato in dote alla Nazionale quattro campioni del mondo a Berlino 2006 (cinque se si annovera nel gruppo azzurro anche Luca Toni), a una retrocessione in serie B nel 2013 dopo un annata che somiglia molto a quella in corso in cui speriamo ancora, attaccati all’aritmetica, che l’epilogo non sia lo stesso.
Un generale amato, applaudito, contestato e detestato. Su cui si è detto, scritto e commentato senza sosta per ogni giorno trascorso da quel 21 luglio del 2002 quando rilevò il club di viale del Fante, o per meglio dire le macerie rimaste dopo la gestione di Franco Sensi, per dare il via a un decennio sportivo d’oro che, almanacchi alla mano, sono i migliori della storia rosanero. Come spesso accade ai generali vincenti anche Maurizio Zamparini, però, è rimasto vittima della sua stessa indole di comandante supremo, inebriato da un delirio di onnipotenza che l’ha portato a sperperare tutto ciò che di buono era stato costruito nei primi due terzi del suo governo di quindici anni.
Il calcio è uno sport di squadra. E non solo sul rettangolo di gioco. Il peccato più grande del generale Zamparini è proprio quello di aver gestito la società da uomo solo al comando, al grido di qui decido io e chi non è d’accordo sa dov’è la porta. Si spiega così il declino sportivo del Palermo e la notissima, sterminata lista di dirigenti (Foschi il più longevo) e allenatori esonerati (39 avvicendamenti in panchina sotto la sua gestione). Tutti comportamenti che l’hanno portato ad azzerare il grande patrimonio di stima e ammirazione dei palermitani che ha vissuto il suo clou nella finale di Coppa Italia raggiunta nel maggio del 2011. Azioni e decisioni che hanno fatto perdere fiducia all’ambiente e che hanno fatto registrare un’emorragia di presenze al Barbera. Basta un dato per capire cosa sia successo all’entusiasmo dei tifosi che dai 32mila abbonati della stagione 2004-2005 sono scesi ai 6mila di questo campionato.
Da oggi la storia del club rosanero volta pagina. Inizia un nuovo corso ancora avvolto da una nube misteriosa imposta all’inizio delle trattative dagli acquirenti di tutti gli asset del gruppo imprenditoriale di Zamparini, Palermo calcio in primis. Una nube che secondo gli annunci dello stesso Zamparini dovrebbe diradarsi da qui a 15 giorni, probabilmente alla vigilia della prossima gara interna dei rosanero contro la Roma, in cui verrà presentato il nuovo presidente. Nessuno, tranne le parti, sa che volto e che progetti abbia la nuova proprietà anglo-americana salutata comunque dai palermitani come i liberatori da un presidente “sgradito” e senza più le munizioni necessarie per essere competitivi nel calcio moderno e globalizzato di oggi.
Cosa resta di Zamparini? A parte i risultati sportivi conseguiti dal 2002 ad oggi e di cui abbiamo già parlato, rimane la figura di un patron che ha diviso e continua a dividere come pochi la piazza di Palermo. Un imprenditore logorato dall’esposizione debitoria nei confronti del fisco con il quale, secondo una stima de Il Sole 24Ore del 17 febbraio scorso, avrebbe accumulato tra il 2002 e il 2013 debiti per 99 milioni di euro, 54 milioni per imposte non pagate e 45 milioni di sanzioni e interessi. Lo stesso imprenditore che ha investito nel club di viale del Fante 73 milioni e che con la vendita del suo gruppo imprenditoriale fatto di attività impegnate nella grande distribuzione, nelle energie alternative, nell’agricoltura e nel turismo spera di assicurare un futuro radioso alla sua famiglia e, perché no, anche al Palermo calcio.
Resta un trimestre di transizione, in cui si definirà l’uscita di scena dell’ex patron friulano dal club rosanero, che da qui a giugno opererà all’interno della società da semplice traghettatore, nel ruolo di consigliere di amministrazione, fino a lasciare la cloche agli anglo-americani che arrivano in Sicilia con la dichiarata (da Zamparini) ambizione di riportare i rosa in Europa nell’arco di tre-cinque anni. Se son rose, fioriranno – dice un proverbio -. Intanto la città si gode l’alba di un nuovo corso.