I maschi violenti contro le donne | "Poche le risorse per difenderci" - Live Sicilia

I maschi violenti contro le donne | “Poche le risorse per difenderci”

Le lamentele dei centri anti-violenza. "Così è difficile andare avanti". E la cronaca incalza.

PALERMO – La violenza di genere è un fiume in piena. I casi si moltiplicano a livello nazionale e regionale. In Sicilia si registra un altro caso a Catania  che fa inorridire l’opinione pubblica. Così vengono brutalmente riesumati alcuni interrogativi sui centri antiviolenza, e sul ruolo di questi enti nella prevenzione, nel supporto e nel recupero delle donne vittime dei tanti abusi e comportamenti violenti che, o perché finiscono nel sangue, o per i danni che lasciano nelle vittime, sono sempre e comunque fatali.

Il tema era finito nel calderone dei tagli in bilancio in vista della Finanziaria regionale, poi sembrava essersi perso tra i meandri della manovra. In Sicilia i centri antiviolenza non godono di ottima salute, e come combattevano quotidianamente per sopravvivere prima della Finanziaria 2019, continuano a farlo dopo.

Maria Grazia Patronaggio, presidente del centro palermitano “Le Onde onlus”, racconta una realtà in cui è difficile reperire i sostegni adeguati: “Premesso che le risorse antiviolenza vengono in parte gestite direttamente dal governo nazionale e in parte destinate alle Regioni – spiega – c’è da dire che in realtà queste modalità hanno creato non pochi problemi, non essendoci linee guida dello Stato su come le Regioni avrebbero dovuto impegnare le spese”.

Per quanto riguarda la Regione Siciliana, da aprile 2017 esiste un piano regionale antiviolenza che regola la prevenzione, la formazione degli operatori, gli interventi sugli autori delle violenze, e i settori comunicazione e sensibilizzazione. Il piano prevede l’assegnazione di tali aspetti a Formez, associazione in house alla Presidenza del Consiglio, “contro il parere del Forum permanente antiviolenza di genere”, dice Patronaggio. Il Forum, organismo pubblico e privato previsto dalla legge regionale 3 del 2012 e presieduto dall’assessore della Famiglia e delle Politiche sociali, ha funzione propositiva ma i suoi pareri non sono vincolanti.

“I contributi per i centri antiviolenza superano raramente i 10 mila euro annui per ogni centro, a fronte dei circa 150 mila che occorrerebbero per il loro mantenimento”, spiega la presidente de “Le Onde”. La cifra servirebbe a mantenere alti gli standard professionali delle decine di figure che gravitano intorno a ogni centro, impegnate a offrire valutazioni del rischio corso dalle vittime, seguire i processi legali, dare assistenza psicologica e trattare tempestivamente i casi segnalati al telefono. “Sono questi i luoghi e le attività che vanno sostenuti – sostiene la presidente – non finanziandoli con risorse irrisorie che servono a malapena a pagare le spese di gestione e gli stipendi. Quando si privilegia la qualità a discapito della qualità, è ovvio che sorgano i problemi: per esempio, perché le risorse vengono tagliate quando si rivede il bilancio? Perché se non sono spese vengono destinate ad altri capitoli, e ogni anno questo rischio è concreto”. A ciò si aggiungono le difficoltà incontrate dalle associazioni nel diventare veri centri antiviolenza, e i numeri ne rendono un’idea: a Palermo, per esempio, ce ne sono solo due.

Come sopravvivono i centri? “Contiamo sulle donazioni private, proprio perché i grandi donatori erogano i soldi senza anticiparli”, spiega Patronaggio. “Per come vengono spesi i soldi, non riusciamo ad agevolare l’autonomia abitativa e l’inserimento lavorativo: i progetti sono impostati in modo che le donne debbano dimostrare di aver speso quei soldi, per prima cosa anticipandoli. Significherebbe potersi permettere contratti d’affitto con le classiche tre mensilità anticipate, o potersi permettere un tirocinio formativo nonostante l’indennità non arrivi regolarmente. In pratica le donne maggiormente in difficoltà, quelle che dovrebbero veramente ripartire da zero, non possono essere aiutate”.

Da Palermo a Catania la situazione non migliora. Anna Agosta, presidente dell’unico centro accreditato nel Catanese, “Thamaia onlus”, e tra le 20 consigliere nazionali di D.I.Re. (Donne in rete contro la violenza), racconta uno scenario quantomeno impegnativo: “Ci arriva una cifra annua intorno ai 20 mila euro, che comunque dobbiamo rendicontare per poi ottenerne il rimborso dalla Regione, e non abbiamo nemmeno una sede regionale quindi paghiamo anche l’affitto. Copriamo a stento le spese”.

Il centro Thamaia riceve quasi 200 segnalazioni all’anno, e ha dovuto industriarsi per andare avanti: “Viviamo di progettazione e volontariato – dice Agosta – ma in assenza di progetti siamo scoperte e alcuni che vanno in porto invece comporterebbero più perdite che guadagni. Con o senza la Finanziaria, l’aiuto poco era e poco rimane: siamo sempre a rischio chiusura. A differenza di Palermo, il Comune di Catania non ha un capitolo di spesa specifico per la violenza sulle donne, quindi non riceviamo nulla dal nostro Comune. Eppure – continua – lavorare alla violenza sulle donne è un misto tra attivismo politico e lavoro, ci impegna tantissimo dalla prevenzione alla formazione, dalla sensibilizzazione alla comunicazione. Anche politica”.

Altro nodo sarebbero le convenzioni Regione-Comuni per ottenere i contributi di accoglienza delle donne nelle cosiddette case rifugio; servizio per cui è prevista una retta che i Comuni dovrebbero corrispondere ai centri. “La stipula delle convenzioni non incontra nessun ostacolo – replica Tommaso Triolo, dirigente responsabile del Servizio terzo settore, pari opportunità, antidiscriminazione e violenza di genere presso l’assessorato delle Politiche Sociali –. Piuttosto molti Comuni non si rivelano disponibili, o perché non hanno in carico donne vittime di violenza e quindi aspettano di averne per concretizzare, oppure perché non hanno chiari gli aspetti burocratici. Ho l’assoluta certezza che tutti i Comuni siano stati informati delle convenzioni – aggiunge Triolo – ma, quanto a quelli convenzionati, sono meno di un terzo del totale”.

Dal parlamento siciliano arrivano dei segnali: Claudio Fava e il movimento Cento passi hanno presentato un emendamento al collegato alla Finanziaria, che cambierebbe le modalità di erogazione dei fondi antiviolenza in Sicilia. Un milione di euro per ridare slancio ai centri, alle borse lavoro e agli interventi culturali di prevenzione; il tutto riducendo il capitolo relativo alla propaganda dei prodotti siciliani per compensare la spesa. “Il problema è come l’assessorato alle Politiche sociali interviene nei finanziamenti – afferma Fava – oltre al fatto che proprio dall’assessorato i centri non ricevano risposte univoche e certe. Uno studio Svimez ha rilevato che l’occupazione femminile in Sicilia è tra le peggiori in Europa, e la beffa è che le donne siciliane vittime di violenza non possono rendersi autonome, pur avendo pieno diritto a una borsa lavoro. Nell’emendamento chiediamo di implementare i tre fondi ma soprattutto di spenderli, e in modo intelligente – prosegue il deputato regionale – per evitare che si arrivi alla fine dell’esercizio finanziario con cifre non spese e ridestinarle ad altro, pur di non perderle”.


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