I pazzi, gli attori, le 'sciarre' | Alajmo: "Il mio teatro" - Live Sicilia

I pazzi, gli attori, le ‘sciarre’ | Alajmo: “Il mio teatro”

Roberto Alajmo (Foto Chiara Quartararo)

La chiacchierata col direttore del teatro Biondo. Ecco cosa c'è dietro le quinte.

L'intervista
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4 min di lettura

PALERMO- L’ultima volta, quassù, c’era Gigi Burruano, al suo passo d’addio. Ora c’è una sedia, illuminata da una fioca luce di scena, metafora chissà quanto volontaria della desolazione. Il palco del Teatro Biondo è screziato di ombre che hanno l’odore dei sogni di chi c’è stato.

Per arrivarci, bisogna attraversare una città dolente di munnizza, brulicante di sguardi affamati che hanno scoperto la rabbia come effimero balsamo del digiuno. Durante la passeggiata, si incontrano ex Pip che non hanno fatto fortuna, cassonetti anneriti, il vocio invincibile dei parcheggiatori abusivi. E catoi che non conoscono il sole, popolati da strani gnomi panormitani che discorrono in un idioma sconosciuto. Sicché la decalcomania al paesaggio è una domanda muta che si gonfia di nonsensi, per manifestarsi all’arrivo. Ma, quaggiù, in questo inferno di lische che erano persone, a che serve un teatro?

Roberto Alajmo, scrittore, direttore del ‘Biondo’, reduce da una conferenza stampa di qualche tempo fa per la stagione che si avvia, prende tempo: “Un caffè e provo a spiegarmi…”. Il caffè. Un’ansimante acchianata di tre piani, in mezzo ad armadi che traboccano di vestiti, ognuno con una tarma e una storia appiccicate al colletto. Un ufficio. Una chiacchierata che inizia dalla contingenza per approdare altrove. Quella domanda.

Non si scappa. A che serve un teatro a Palermo?

“Rispondo senza tentennamenti. Il teatro serve alla formazione di una cittadinanza consapevole, ovunque. Per usare una metafora: è come l’albero che pianti oggi, affinché domani, quando piove, non venga giù la montagna. Evita o ritarda il crollo. Nell’antica Grecia, gli spettatori venivano pure pagati per contribuire alla costruzione di una civiltà, oggi pagano: ma il senso del teatro è rimasto lo stesso”.

Una sorta di antichissimo spazio social, ma con le persone al posto dei nickname….

“Un presidio di umanità. Uno degli ultimi che possono servire a spostare la notte un po’ più là. Certo, chi fa teatro, chi scrive per il teatro e chi lo rappresenta, sa che la catastrofe può essere forse solo appena ritardata, ma è questa la missione”.

Siamo passati dal palco. Lassù, c’era Gigi Burruano con la celebrazione del suo commiato.

“Negli ultimi quarant’anni, Gigi è stato l’attore che ha meglio scolpito il volto di Palermo. Abbiamo la necessità di ricordarlo, come altri grandi. Per esempio, non subito, ma, prima o poi, mi piacerebbe cambiare il nome alla sala Strehler e intitolarla a Franco Scaldati. E’ la dimensione giusta. Scaldati era un artista da camera, con una voce potente e allo stesso tempo molto intima”.

Ecco, stiamo circumnavigando il talento unico e puntuto degli artisti e degli attori palermitani. Come sono, visti da vicino?

“Sono, appunto, palermitani, cioè dotati di una forza straordinaria che li proietta ovunque, ma zavorrati dalla vocazione alla sciarra perpetua. W.H. Auden diceva: un poeta deve essere come certi formaggi, locale ma apprezzato anche altrove. Ecco, per essere bravi molti artisti siciliani sono bravissimi. Tuttavia, spesso, non riescono a sintetizzarsi in comunità. Operano insieme, litigano, si separano, ritornano insieme… Viaggiano e lavorano come monadi. Singolarmente. L’elenco dei talentuosi è comunque quasi interminabile”.

Qualche nome?

“Senza fare torto a nessuno, ricordo quelli che mi vengono in mente con rapidità: Emma Dante, che sarà tra le protagoniste della nuova stagione, e Davide Enia. Sono un po’ i nostri mostri sacri. C’è Salvo Piparo che riempie sempre le sale con la sua maschera. E tanti altri dotati di un talento unico”.

Tra i giovani?

“Rosario Palazzolo, un drammaturgo bravissimo, Fabrizio Falco, Alessio Vassallo. Nel nostro cartellone non mancano, ovviamente, persone che sono il teatro in Italia e in Europa. Nella ‘squadra del resto del mondo’, cito ancora a saltare, dimenticando sicuramente qualcuno: Ennio Fantastichini, Luigi Lo Cascio, Vincenzo Pirrotta, Carlo Cecchi, Simone Cristicchi, Neri Marcorè, Moni Ovadia, Ottavia Piccolo…”.

Chi sono le persone che vengono a vedere uno spettacolo?

“Soprattutto i borghesi, che ieri frequentavano le sale per dovere, adesso, spero, per piacere, per una scelta consapevole”.

‘Sovrani e impostori’ è il titolo della rassegna: perché?

“Ogni re è a suo modo un impostore, e a maggiore ragione impostori sono i re a teatro, visto che impostori, per antonomasia, sono gli attori che li interpretano. Non so se si coglie il nesso”.

Si coglie. Numeri, sostanza, dopo la suggestione: a che punto è il Biondo?

“In questo preciso momento abbiamo il trenta per cento in più di abbonati rispetto allo scorso anno. Abbiamo incassato fin qui 310 mila euro, il doppio. Le cifre ci danno ragione. Non è sempre facilissimo, ma stiamo cercando di consolidare un’epoca di rilancio dopo momenti difficili. L’equilibrio non è mai semplice. Diceva Sartre: ‘La fiducia si conquista goccia a goccia e si perde a litri’”.

Le manca la sua attività di scrittore?

“Ho sempre lavorato e scritto d’estate. Certo, adesso, è tutto un po’ più complicato perché mi manca la concentrazione oltre che il tempo”.

Lei ha scritto, tra l’altro, ‘Il repertorio dei pazzi della città di Palermo’. Ha raccolto materiale inedito, nella sua attività da direttore?

“Sì, ma scriverò qualcosa più in là. I pazzi che sto conoscendo in questa esperienza sono tanti e non sono nemmeno tutti artisti. Per alcuni servirebbe addirittura una monografia”.

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