I primi di novembre e le tadizioni a tavola: pasta reale - Live Sicilia

I primi di novembre e le tradizioni a tavola: la pasta reale

I dolci tipici siciliani per festeggiare due ricorrenze

Anche quest’anno i primi di novembre, a segnare il passaggio tra l’autunno e l’inverno ritornano puntuali due feste importanti per la cristianità e le tradizioni popolari siciliane, quella di Ognissanti e la Commemorazione dei defunti, che nell’isola assumono da tempo immemore caratteristiche peculiari ed uniche, come del resto accade anche in occasione di molte altre ricorrenze. E se la prima coincide con il ricordo di figure singolari della chiesa, la seconda tende a rievocare il legame affettivo ed il ricordo che deve permanere impresso nella memoria dei parenti più cari e vicini, genitori, fratelli, nonni, zii, che prematuramente o meno ci hanno lasciato e di cui è doveroso conservare memoria.

Andrea Camilleri, in un racconto autobiografico ambientato nella prima metà del ‘900 descrive quasi pittoricamente le emozioni di sè bambino nella città natale, quando in occasione proprio della festa dei morti, così come è chiamata, nella notte della vigilia assisteva ad una cerimonia strettamente familiare che coinvolgeva insieme grandi e piccini. Era usanza infatti dei padroni di casa ormai tramandata da secoli di cunzare ritualmente già la sera prima la tavola da pranzo con ogni ben di dio, pupi ri zuccaru, chiamati non a caso anche pupiaccena, canestri con frutti di martorana e frutta secca, mustazzoli o ossa di morti, taralli con glassa di zucchero al limone e al cioccolato, tatù, biscotti al cimino, pani antropomorfi raffiguranti un mezzo busto con le braccia incrociate, scarpette di zucchero, mele cotogne intere o in gelatina, melagrana e tanto altro proprio in vista del banchetto notturno in onore delle anime dei defunti che quella notte sarebbero ritornate.

Le mamme e i papà, per mantenere ancor più vivo il ricordo dei morti erano soliti procurarsi giocattoli tipici dell’epoca come bambole, trenini di latta, costruzioni in legno che venivano nascosti nei luoghi più reconditi della casa per renderne più difficile il giorno seguente il ritrovamento ed accrescere la sorpresa dei bambini. Il calare della sera era accompagnato dalla melodia delle preghiere e recite del rosario, non disgiunte da promesse di buon comportamento da parte dei piccini al fine di ingraziarsi le anime dei parenti che di lì a poco sarebbero riapparse. E i murticeddi ogni anno puntualmente, come riporta fedelmente G. Pitrè raccogliendo la tradizione popolare locale, iniziavano la loro marcia partendo non a caso dall’antico mercato della Vucciria palermitana, dove dimoravano e si appropriavano furtivamente dei doni per i picciriddi, sottraendoli proprio ai commercianti e pasticceri del quartiere e andavano a visitare, un pò come fa la befana, una per una le case delle famiglie dove avrebbero conservato memoria della loro precedente esistenza, perpetuandone il ricordo proprio con piccoli giochi, abiti, stivaletti e dolci a dir poco inusuali. E così finalmente, dopo una notte passata pressocchè insonne a causa dell’eccitante clima della vigilia, al risveglio i bambini finalmente liberi di potere circolare per casa correvano felici a fare colazione con la strenna dolce dei morti e si intrattenevano iniziando la caccia festosa ai tanto attesi omaggi, sotto gli occhi attenti del padre e della madre che avevano tanto abilmente organizzato la messa in scena. E mentre i piccoli già al mattino assaporavano i dolci, gli adulti preparavano le tipiche muffulette, panini tondi conditi con olio, sale, pepe, origano e acciuga salata, che venivano consumati anche da chi quel giorno lo dedicava ad una visita al cimitero e predisponeva un’apposita colazione al sacco.

A pranzo, per chi rimaneva a casa si prediligevano i legumi e in particolar modo le fave nere, che venivano cucinate a maccu o con aglio ed olio, in ricordo probabilmente sia di una simbologia secondo cui proprio tali legumi avrebbero contenuto le anime dei defunti che di un’antica credenza romana che gli faceva assumere un preciso significato propiziatorio. Anche i mustazzoli, biscotti realizzati con farina, acqua, cannella e chiodi di garofano avevano la forma di scheletro o ossa della tibia o del perone, come tramandano i modellini riprodotti in ceramica fatti realizzare proprio da Pitrè per conservarne memoria al Museo Etnografico del capoluogo e chi si cibava di tali biscotti ne avrebbe tratto particolari benefici essendo ritenuto che le virtù magiche di essi si sarebbero trasferite in chi li avrebbe mangiato. Ma i capolavori indiscussi rimanevano i frutti di martorana o pasta reale, che sembrano possano vantare una storia molto antica. Realizzati con un impasto ottenuto a caldo o a freddo di farina di mandorla, zucchero, vaniglia in polvere e glucosio e messi in apposite formelle di gesso, furono creati secondo alcune fonti per ornare durante l’inverno i rami degli alberi spogli del giardino del convento dei benedettini, adiacente la chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio, fatto costruire dalla nobildonna Eloisa Martorana, da cui poi presero il nome.

E le artefici sembrano con ottima probabilità essere state le suore dell’attiguo convento di clausura di S. Caterina, che vantavano una tradizione pasticcera molto raffinata. Il tocco di particolare maestria nell’esecuzione di tali esemplari, ampiamente consumati nell’isola è certamente dato dalla coloritura eseguita a mano a toni molto tenui e sfumati da creare un effetto di perfetta verosimiglianza a modo di natura morta. Anche per la preparazione dei pupi ri zuccaru, statuette realizzate con lo zucchero sciolto in acqua e aromatizzato al limone e colato nelle formelle, occorreva in genere più di una settimana ancora una volta per l’esecuzione della decorazione. I soggetti tradizionali erano il gallo, il cavaliere a piedi o a cavallo, la ballerina, i pupi del teatro popolare, giocattoli poveri dal forte valore tradizionale, nati probabilmente dall’ingegnosa genialità di un pasticcere locale che con ingredienti alla portata di tutti era riuscito a creare veri e propri gioielli. Un’altra ipotesi accreditata li ricollega storicamente ai dolci antropomorfi di età romana, che riproducevano le fattezze e le sembianze dei defunti. Ai giorni nostri, a S. Venerina nell’area orientale dell’isola un rinomato laboratorio conserva ancora molto gelosamente i preziosi calchi ottocenteschi che servivano proprio per realizzare i nostri pupi. E con gli auguri che accompagnano le feste, riporto le parole della preghiera fanciullesca Armi Santi Armi Santi io sugnu uno e vuatri siti tanti, mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai, cosi di morti mittitiminni assai.

PASTA REALE (marzapane)

Ricetta dello chef Roberto Cascino

Ingredienti/
Kg 1 farina di mandorla, kg 1 zucchero a velo, 1 baccello vaniglia,
g 180/200 acqua, 2 cucchiai rasi di glucosio.

PROCEDIMENTO
Dentro una ciotola unire: farina di mandorla, zucchero a velo, e un baccello di vaniglia raschiato. Aggiungere l’acqua ed il glucosio, impastare fino a quando il composto non diventa liscio
ed omogeneo. Fare un panetto e ricoprirlo di carta pellicola, avendo cura di prendere l’impasto poco alla volta lasciando quello che non si utilizza coperto, in maniera che la pasta non si asciughi. Togliere la carte creare le forme di frutta e dipingerle.


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