Iblis, le motivazioni dell'appello |Alfio Aiello, ombra del fratello boss - Live Sicilia

Iblis, le motivazioni dell’appello |Alfio Aiello, ombra del fratello boss

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CATANIA – “Alfio Aiello faceva da tramite per gli affari del fratello”. Le parole del collaboratore di giustizia Umberto Di Fazio cristallizzano quanto ricostruito dalla Corte d’Appello di Catania sul ruolo di Alfio, fratello del capomafia di Cosa nostra catanese Enzo Aiello. Nelle motivazioni della sentenza del processo Iblis (il troncone in abbreviato) il collegio giudicante della Terza Sezione ripercorre la mole di dichiarazioni, intercettazioni e prove investigative che hanno portato alla condanna dell’imputato a 9 anni e 8 mesi di reclusione (tre anni in meno rispetto alla sentenza di primo grado) per associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni.

Oltre ad essere il “curatore” degli interessi del fratello, Alfio Aiello sarebbe stato il ponte di collegamento (sempre in sostituzione del boss) con i mafiosi palermitani e agrigentini soprattutto in merito all’affare dei supermercati Eurospin. Un ruolo di cui sono fortemente convinti i giudici che ne offrono una congrua ricostruzione grazie alle dichiarazioni di diversi pentiti, i colloqui in carcere tra i fratelli Aiello e i vari elementi probatori, anche video, raccolti dai Ros. Il collaboratore di giustizia Gaspare Pulizzi, persona di fiducia di Salvatore Lo Piccolo, racconta di come proprio i Lo Piccolo avessero incaricato Vincenzo Aiello di stabilire un contatto con Giuseppe Falsone (del gruppo di Agrigento) per chiudere l’affare Eurospin. Incontro a cui però sarebbe stato costretto ad andare il fratello Alfio, come spiega il pentito Giuseppe Sardino, in quanto il boss Enzo in quel periodo era sottoposto a una misura restrittiva.

Dalla lettura di alcuni pizzini rinvenuti dopo l’arresto di Bernardo Provenzano trovano conferma i contatti di cui parlano i due collaboratori. In un messaggio, datato 8 maggio 2004, Falsone chiedeva al “capo dei capi” un referente catanese per risolvere una situazione nel settore della grande distribuzione. Il 28 luglio 2004 sempre Falsone scrive a “Binnu” rassicurandolo sulla riuscita dell’incontro con il referente catanese e che una ditta di supermercati intenzionata ad aprire punti vendita nell’agrigentino si “era venuta a mettere nelle loro mani“. Da un altro pizzino dell’11 novembre 2004 si scopre che la ditta era proprio l’Eurospin.

Nel periodo che intercorre tra il primo e il secondo pizzino il fratello del capomafia si incontra con diversi personaggi, tra questi Giovanni Lauria (conosciuto come il professore). A luglio Alfio Aiello si reca a Campobello di Licata per incontrare Giancarlo Buggea, altro “mafioso – scrivono i giudici – vicino a Falsone”. A chiudere il mosaico è il colloquio tra i due fratelli il 25 gennaio 2005 quando Vincenzo chiede notizie del “professore” e Alfio risponde che lo aveva incontrato il giovedì precedente e aveva dato garanzie per la zona di “dabbanna” (Sicilia occidentale). Alfio, durante la conversazione, rimarca che l’ordine è partito dalla zio grande (u rici u ziu chiddu ranni), identificato come il capomafia Bernardo Provenzano.

A chiudere il cerchio si aggiungono le parole dell’ex reggente di Cosa Nostra Santo La Causa. Secondo il pentito Alfio Aiello era socio (anche se attraverso prestanome) di Benedetto Santapaola. E inoltre l’azienda di Alfio era il luogo dove il capo Enzo Aiello incontrava i suoi sodali per pianificare strategie. Dopo il suo arresto però – secondo il racconto di La Causa – lo stesso capomafia avrebbe consigliato al fratello di evitare “frequentazioni sospette” per paura di monitoraggi da parte delle forze dell’ordine.

Per la Corte, Alfio Aiello nel periodo contestato (2001 – 2010) era “l’uomo ombra del capomafia Enzo”.  Secondo i giudici avrebbe curato per conto del fratello la trasmissione di messaggi e comunicazioni agli associati della cosca, tra cui gli stessi figli di Benedetto Santapaola. L’imputato inoltre avrebbe gestito la “cassa” dell’organizzazione. Accuse da cui l’imputato si è difeso con una lettera inviata alla Corte dove descrive ogni incontro come “normali appuntamenti commerciali” e in cui parla anche di interventi per “aiutare il fratello a uscire dalla sua situazione”. Discolpe che non hanno convinto il collegio che lo bolla come “l’emissario fedele del fratello”.


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