CATANIA- Si chiude il secondo capitolo giudiziario di uno dei processi che ha fatto tremare le poltrone di molti politici e colletti bianchi. Si tratta dell’inchiesta Iblis che ha portato alla sbarra boss, politici e imprenditori. Intorno alle 18 è arrivato il verdetto della prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania del processo d’appello (troncone ordinario) dopo diverse ore di camera di consiglio. Confermata quasi in toto la sentenza di primo grado, l’unica assoluzione è quella dell’imprenditore Santo Massimino (in primo grado era stato condannato a 12 anni).
Riformate alcune condanne. Per Enzo Aiello la pena è stata rideterminata in 9 anni, rispetta ai 22 del primo grado (La Corte lo ha assolto da un capo di imputazione). Condanna a 14 anni Carmelo Finocchiaro (rideterminata la pena di 17 anni inflitta in primo grado); condannato a 9 anni Giuseppe Tomasello (Rideterminata la pena di 13 anni del primo grado); 12 anni e 4 mesi per Pasquale Oliva (in primo grado 18 anni), 8 anni invece per Giuseppe Rindone (in primo grado era stato condannato a 12 anni).
Merita un capitolo a parte Rosario Di Dio, il boss di Palagonia che con le sue dichiarazioni ha portato un colpo di scena nel processo d’appello a carico di Raffaele Lombardo. La pena è stata rideterminata in 14 anni e 1800 euro di multa. In primo grado era stato condannato a 20 anni di reclusione.
La Corte d’Appello presieduta dal giudice Costa ha confermato invece il resto della sentenza. Confermata quindi anche la condanna per Fausto Fagone per l’accusa di concorso esterno all’associazione mafiosa.
Gli altri imputati. Giuseppe Brancato 4 anni, Giovanni Buscemi 12 anni, Angelo Carbonaro 12 anni, Rosario Cocuzza 4 anni, Natale Filloramo 12 anni, Mario Ercolano 12 anni, Carmelo Mogavero 5 anni, Sandro Monaco 12 anni, Massimo Oliva 12 anni, Pesce Francesco 12 anni, Vincenzo Santapaola 18 anni, Tommaso Somma 12 anni.
L’INCHIESTA – L’inchiesta dei Ros, sotto il coordinamento dei pm Antonino Fanara e Agata Santonocito, parte nel 2005. Nel mirino della Dda c’è il boss dei Santapaola Enzo Aiello. L’indagine riesce a ricostruire i legami tra la mafia, l’imprenditoria e la politica. I due livelli del potere, dunque. Da un lato la mafia militare, in particolare quella che controllava i territori calatini di Ramacca e Palagonia e la mafia imprenditoriale che era riuscita a infiltrarsi nel tessuto economico. Boss, poltici e faccendieri che grazie all’appoggio di numerosi imprenditori avrebbero concluso affari a sei zeri.