Il 25 aprile e quella guardia da tenere alta per la democrazia

Il 25 aprile e quella guardia da tenere alta per la democrazia

I pericoli di un abbassamento di tensione
L'OPINIONE
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Quest’anno ho avuto il privilegio di festeggiare il 25 aprile a Modena, città medaglia d’oro al valor militare per la liberazione dal nazifascismo. Respiri un altro clima bisogna ammetterlo, un clima particolare in cui senti fortissimo il susseguirsi di emozioni magari inaspettate, specialmente dinanzi alle centinaia di foto dei caduti mentre ascolti con animo commosso, insieme a una grande folla, il Silenzio.

Un clima che per ragioni storiche non puoi sperimentare in Sicilia perché al momento della firma dell’armistizio di Cassibile, l’8 settembre 1943, l’Isola era già stata liberata dagli alleati sbarcati sulla costa sud nella notte tra il 9 e 10 luglio dello stesso anno.

È vero, molti siciliani contribuirono alla cacciata dei tedeschi e delle milizie mussoliniane aggregandosi ai partigiani nel nord Italia ma è ovvio che le condizioni dello stato bellico nel meridione e nel settentrione (ancora sotto il tallone nazi-fascista fino al 1945) erano completamente differenti.

È accaduto nel lungo periodo dalla cessazione delle ostilità a oggi che qualcuno abbia cercato di teorizzare una sorta di distinzione tra il nazismo e il fascismo, quasi a definire il secondo meno condannabile del primo responsabile dell’Olocausto e dei piani di sterminio a Est, con l’invasione dell’Unione Sovietica, delle popolazioni slave.

In realtà, il fascismo fu un regime criminale e criminali furono i suoi gerarchi, a cominciare da Benito Mussolini.

Il patto scellerato

Un regime liberticida che ha provocato, nel contesto dello scellerato patto con la Germania di Adolf Hitler, innumerevoli lutti, sofferenze inaudite, atroci discriminazioni ed efferati crimini di guerra e contro l’umanità.

Ha partecipato alla persecuzione sistematica degli ebrei con le leggi razziali del 1938 sottoscritte dalla Monarchia e ha perpetrato, nella sua follia coloniale, orrende stragi con armi proibite ritenendo comunque le vittime, dal colore scuro della pelle, esseri inferiori.

È da non credere come sia possibile trascorsi quasi ottant’anni dover assistere a dibattiti surreali sulla natura assolutamente antifascista della Repubblica Italiana e della sua Costituzione. È disperante constatare quanto sia difficile per alcuni rappresentanti delle istituzioni repubblicane, addirittura con incarichi di governo, e delle Forze Armate definirsi antifascisti.

Eppure, soprattutto in tempo di Guerra Fredda, abbiamo vissuto terribili stagioni, durante la cosiddetta strategia della tensione, in cui pezzi dello Stato, uomini infedeli dei servizi segreti, massoneria deviata e mafia hanno tentato di ricacciare il Paese nel buio di una dittatura neo-fascista.

Una data per unire

Da Modena ho voluto prendere il treno per Bologna soffermandomi a guardare lo squarcio della parete esterna della sala della stazione ferroviaria in cui fu collocata la devastante bomba esplosa il 2 agosto 1980 (85 morti e oltre 200 feriti).

Innegabili le colpe di soggetti della destra eversiva, innegabile il filo nero che ha legato troppi eventi tragici della nostra storia repubblicana, forse mai reciso definitivamente.

Il 25 aprile davvero dovrebbe essere una data unificante, un momento in cui l’intera comunità nazionale si stringe attorno ai suoi eroi uccisi, sovente dopo torture indicibili, perché volevano restituirci la libertà. Occorre tenere la guardia sempre alta, la democrazia non è un bene acquisito per l’eternità, anzi, va protetta, coltivata, ricordata, difesa, celebrata.

Guai se smarriamo la memoria, guai a sottovalutare personaggi, avvenimenti, simboli, parole o omissioni ricollegabili all’ideologia fascista giudicata frettolosamente morta e sepolta. Se cadiamo nella trappola non ci sarà modo per rimediare.

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