PALERMO – Sabato 19 agosto, pomeriggio. A piazza Margherita, Castelbuono, la folla e un corposo schieramento di forze dell’ordine attendono l’arrivo del presidente del Senato (e mancato candidato ala presidenza della Regione) Pietro Grasso, per un evento pubblico. Che è in programma per le 18. Poco prima dell’ora convenuta irrompe sulla scena a sorpresa il presidente della Regione in carica. Un Rosario Crocetta sorridente che prende a salutare con stretta di mano una per una tutte le persone presenti in piazza. Con qualcuno ci scappa anche una foto ricordo. “La gente mi conosce, io sono un politico fuori dagli schemi dei partiti. Quanto sono conosciuti gli altri papabili candidati?”, domanda sorridente il governatore accendendo l’immancabile sigaretta. Si candida allora, presidente? “Se non si faranno le primarie io non potrò non ricandidarmi”, dice, lo ripeterà poco dopo in tv.
Punto e a capo. All’alba del 22 agosto, quando mancano due mesi e mezzo alle elezioni, il centrosinistra – proprio come il centrodestra – continua a navigare a vista in cerca di un candidato e di una coalizione. E non ha risolto il problema, non da poco, del cosa farne di Rosario Crocetta. Il governatore resta sul campo con la sua annunciata candidatura, una grana in più per un Pd ancora in stato confusionale. E un arma in più per Rosario Crocetta, che fino alla fine di questa sventurata legislatura si fa forza delle debolezze e delle contraddizioni del suo partito e della sua maggioranza.
Quelle stesse debolezze e quegli stessi veti incrociati che lo portarono a essere il candidato cinque anni fa, quando il partito inghiottì il rospo della sua autocandidatura. E che lo hanno tenuto politicamente in vita in questi cinque anni costellati di passi falsi e pasticci, ai termini dei quali un Crocetta non pago si guarda bene dal togliere il disturbo e vuole di nuovo tornare in campo col suo Megafono, come i reduci di Coblenza, quegli aristocratici francesi che ripararono nella città tedesca nei giorni della rivoluzione e che al loro ritorno “nulla dimenticarono e nulla capirono”.
Ma tant’è, con la patata bollente palleggiata tra Roma e Palermo dal tandem formato dai renziani del Nazareno e Leoluca Orlando, Crocetta resta in campo e può dire la sua. Invocando quelle primarie che Davide Faraone ha chiesto a gran voce per due anni e di cui ormai il colonnello renziano, impegnato nel suo tour porta a porta della Sicilia, non parla più. Quelle stesse primarie che nel partito giorni fa furono auspicate da Pippo Digiacomo, e che nelle ultime ore hanno chiesto anche la renziana Mila Spicola, già vice di Fausto Raciti, e il deputato regionale Pino Apprendi. Che ricorda come lo statuto preveda la possibilità di Crocetta di candidarsi e vede nelle primarie la “condizione indispensabile”, perché “i veti incrociati lasciano troppi feriti per strada”.
Le primarie risolverebbero il problema Crocetta. Ma dovrebbero essere primarie di coalizione e al momento la coalizione non c’è. I centristi di Casini e Alfano dovrebbero essere alleati del Pd ma propongono la terna Giovanni La Via, Gianpiero D’Alia, Dore Misuraca e non ci stanno a sostenere Fabrizio Micari, il rettore su cui insiste Orlando, i cui alleati di sinistra a loro volta non ci stanno a sostenere un centrista. Una candidatura, quella di Micari, che lascia freddo, se non gelido, anche il Partito democratico. E che complicherebbe l’ingresso in coalizione della squadra di Roberto Lagalla. “Bisogna prima sgombrare il campo dalla controversia: vogliamo un candidato politico o non politico? Risolto quello, si può chiudere”, dice Anthony Barbagallo, esponente di quell’Areadem il cui leader Giuseppe Lupo resta uno dei papabili in caso di scelta “politica”, quella che Orlando non vuole. La nebbia resta. E con essa Crocetta con le sue strette di mano da campagna elettorale.