Il clan Pillera, in Cassazione regge l'associazione mafiosa

Il Clan Pillera e la famiglia Ieni: ora c’è anche l’associazione mafiosa

La Suprema Corte ha respinto il ricorso

CATANIA – È nel nome del padre boss che Dario Ieni si muoveva. Ed è sempre in nome del defunto genitore, Giacomo Ieni, esponente storico del clan mafioso dei Pillera Puntina, che il figlio ha mantenuto i contatti con i clan Cappello-Bonaccorsi, Strano e Cursoti Milanesi.

Il Tribunale della Libertà e la Corte di Cassazione accolgono la tesi della Dda: l’accusa di associazione mafiosa, per Ieni, regge. La stessa ipotesi accusatoria regge pure per un altro uomo ritenuto vicino al gruppo, Carmelo Bonfiglio, che nell’operazione “Doppio Petto” è accusato solo di mafia e non è stato neanche arrestato.

L’ordinanza del Riesame ora è stata confermata in Cassazione. Secondo il Riesame, in estrema sintesi, la famiglia Ieni, con Cosa Nostra e con gli affari sporchi del clan Pillera Puntina, ha a che fare. Eccome.

Il ricorso

Lo sostenevano nel loro ricorso i sostituti procuratori Assunta Musella e Fabio Platania. L’idea di una sorta di “gestione mafiosa” da parte del gruppo che non integrasse, comunque, il reato di associazione mafiosa, non ha passato lo scoglio del Riesame.

Non è la teoria che viene esclusa, ma quantomeno per i giudici del Tribunale del Riesame non è questo il caso. Secondo la quinta sezione del Riesame, presieduta da Giuliana Sammartino, le attività mafiose sarebbero state portate avanti dalle famiglia Ieni in nome e per conto del defunto boss.

L’ordinanza

Il ricorso al Riesame riguardava anche altri indagati. L’ordinanza, sostanzialmente, aveva escluso il reato, sulla base del fatto che aver portato avanti le attività mafiose di Ieni padre, in sintesi, non basterebbe a sostenere che sussista una associazione mafiosa.

La Dda, per confutare questa tesi, aveva tra l’altro riportato nel ricorso un’intercettazione in cui parla Francesco Ieni, fratello di Dario. Francesco, parlando con un altro indagato, direbbe: “Quando parli con il mio nome si cala e si fa come dico io!”.

La tesi dell’accusa

Secondo la Procura distrettuale, gli indagati proseguirebbero “le attività illecite storicamente riferibili al clan, avvalendosi da quell’autorevolezza che può derivare loro solo dall’effettiva presenza ed operatività del sodalizio mafioso”.

Il Riesame ha scritto che “le indagini hanno appurato che leni Dario Giuseppe Antonio, nonostante la giovane età ed una limitata libertà di movimento (in quanto sottoposto al regime degli arresti domiciliari), ricopriva un ruolo nevralgico all’interno della consorteria in esame, essendo a lui affidata l’organizzazione del gruppo nonché la gestione delle estorsioni e dei recuperi crediti”.

La posizione di Cristaldi

Il 52enne Francesco Cristaldi, infine, ritenuto un trafficante di marijuana, hashish e cocaina della cosca dei Pillera Puntina, è accusato anche di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Avrebbe fatto da corriere della droga, partendo alla volta di Napoli per pagare la droga acquistata da loro e dal clan Cappello.

Al Riesame, nel suo caso, la Dda aveva chiesto di riconoscere l’associazione finalizzata al traffico di droga, che era stata esclusa dal Gip. E il provvedimento del Riesame ora è stato confermato in Cassazione. Lui non è mai stato accusato di associazione mafiosa.


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